Bolivia: le politiche sul lavoro minorile sfidano l’UE
BOLIVIA: le politiche pubbliche non euro-centriche sul lavoro minorile sfidano l’UE.
di Cristiano Morsolin
Per approfondire il tema del lavoro minorile in Bolivia, CIPSI mette a disposizione il paper “Trabajo infantil y políticas publicas emancipadoras en Bolivia, mayo 2017”, di Cristiano Morsolin.
A giocare a basket con i bambini lavoratori di El Alto, a 4.150 metri d’altitudine, ti manca il fiato; il 15enne sindacalista Rodrigo Medrano Calle, delegato nazionale dell’Unatsbo (Unione dei bambini e adolescenti lavoratori della Bolivia) mi ha dato appuntamento alla sede del sindacato dei contadini cocaleros di El Alto, che domina la capitale boliviana.
Il tema centrale della discussione è particolarmente delicato: il riconoscimento legale del lavoro minorile a partire dai 10 anni, approvato nel nuovo codice dell’infanzia della Bolivia nel luglio 2014.
Il nuovo Codice infatti acconsente al lavoro in proprio nella fascia di età tra 10 e 12 anni, essenzialmente vincolato al contesto familiare; il lavoro da dipendente in età compresa fra i 12 e i 14 anni, con l’autorizzazione dei genitori e di organismi come l’Ombusman dell’infanzia; quello fra i 14 e i 18 nel rispetto di tutti i diritti lavorativi; fra i 10 e i 14 anni solo a patto che i bambini non sospendano gli studi.
Una legge, ha dichiarato il Vice presidente della Repubblica Garcia Linera, che “rappresenta un giusto equilibrio fra la realtà boliviana e i trattati internazionali in materia. Sarebbe stato facile approvare una legge che è conforme al diritto internazionale”, ha aggiunto, “ma che non si sarebbe potuta rispettare, se non fosse stata resa effettiva”. “Invece”, spiega Garcia Linera, “abbiamo scelto di redigere una legge che abbia come suo punto di partenza quello che abbiamo oggi e che delinei un percorso realistico e fattibile per cambiare la situazione lavorativa dei bambini, che va oltre le convenzioni internazionali.”
Sono piccoli lustrascarpe come Rodrigo, minatori, pulitori di lapidi, braccianti nelle fattorie familiari, strilloni che affollano le strade di Santa Cruz, Cochabamba, o comunque nelle piccole zone di quell’economia sommersa che gli permette un sostegno familiare riconoscendo la loro dignità. Sono i bambini boliviani che, per quanto giovani, hanno chiesto (ed ottenuto) a gran voce di poter lavorare e fin dal 2000 si sono organizzati nel “baby sindacato” Unione nazionale dei bambini/e lavoratori UNASBO (10.000 soci). Il Presidente Evo li appoggia per la loro “coscienza sociale” nella lotta contro la povertà.
Rodrigo ha iniziato a lavorare a 8 anni: “ho fatto tanti tipi di mestieri. Ho cominciato a vendere bicchieri e portafogli per strada. Ora vado in giro di notte a vendere gomme da masticare e sigarette in bar e discoteche. Mi sembra di aver già vissuto una vita intera, ma sono un adolescente. Guadagno circa 25 bolivianos (2,60 €, ndr), ma il profitto varia di giorno in giorno, dipende da quanto riesco a vendere. Mio padre non c’è e adesso sto con mia madre. Ho due fratelli, uno più grande e uno più piccolo, ma non abitano con noi. Vado a scuola al pomeriggio, frequento la seconda media.”
Domando se l’abbassamento dell’età minima per lavorare a 10 anni è un successo frutto di tante marce e mobilitazioni popolari.
“Certo! C’era bisogno di una legge che proteggesse i bambini, mettendoli in una condizione di diritto e non di sfruttamento. Il sindacato s’impegnerà perché nessun minore venga sfruttato. Il problema va risolto dalle fondamenta. Credo che al momento l’abbassamento dell’età minima lavorativa sia l’unico modo per combattere la fame nel Paese” conclude Rodrigo.
La Bolivia e il Perù sono i due paesi dell’America del Sud con i più elevati tassi di attività lavorativa di minori fra i 6 e i 17 anni: rispettivamente il 26% e il 29,8%; e nelle aree rurali, rispettivamente il 64,9% e il 47%. Le statistiche mettono insieme situazioni assai diversificate: dalla bambina che aiuta la nonna a vendere la frutta e gli ortaggi il pomeriggio per guadagnare qualcosa, all’adolescente che pulisce i parabrezza a un semaforo quindici ore al giorno, o si prostituisce la notte per provvedere alle necessità di base di fratelli e sorelle. L’attività di bambini e adolescenti, che non implica necessariamente una remunerazione monetaria, si concentra nei settori dell’agricoltura, allevamento, artigianato, commercio e lavoro domestico.
Il sociologo francese Robin Cavagnoud (che nel giugno 2011 mi ha invitato a La Paz per partecipare ad un convegno internazionale promosso dall’Ambasciata di Francia in Bolivia) sottolinea: “Questa decisione rispecchia il dibattito che la questione del lavoro infantile solleva nei paesi andini. Da un lato, i sindacati dei bambini e adolescenti lavoratori, emanazione del movimento operaio di ispirazione cristiana nato in America latina nel corso degli anni ‘70, difendono il proprio di diritto di organizzarsi per proteggersi, partecipare, essere rappresentati nella società, secondo una visione dell’infanzia che non esclude il lavoro in questo periodo della vita. Essi tentano di esercitare un ruolo nei confronti delle istituzioni in diversi paesi (Perù, Bolivia, Colombia, Paraguay, etc.) per ottenere una formazione professionale e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Associano la denuncia della propria oppressione economica al riconoscimento del proprio diritto al lavoro. Sono a favore dell’esercizio di un’attività in condizioni dignitose, che completi la loro scolarizzazione e l’acquisizione di competenze che consentano poi di superare lo sfruttamento. Una sorta di formazione alternativa”, conclude Cavagnoud.
Va ricordato che la nuova Costituzione Politica della Bolivia (varata nel 2009) conferma chiaramente la proibizione del lavoro forzato e dello sfruttamento infantile, senza vietare che i bambini e gli adolescenti possano svolgere volontariamente attività lavorative remunerate. Inoltre, l’articolo 61 del testo costitutivo garantisce i loro diritti e i conseguenti meccanismi istituzionali di protezione. Originariamente l’articolo 61 proibiva ogni tipo di lavoro infantile. Ma successivamente si decise di modificarlo, grazie anche e soprattutto alle consultazioni con i rappresentanti dei movimenti dei bambini e adolescenti lavoratori organizzati. Effettivamente, la sera del 10 dicembre 2007, rappresentanti della Unión de Niños, Niñas y Adolescentes Trabajadores de Bolivia (UnatsBol), organizzarono una protesta in Plaza Murillo, esigendo che si eliminasse il suddetto articolo dalla Carta Magna. Lo si corresse e lo si modificò come segue: “Si proibisce il lavoro forzato e lo sfruttamento infantile. Le attività che realizzano le bambine, i bambini e gli adolescenti nel contesto familiare e sociale sono orientate alla loro formazione integrale come cittadini e avranno una funzione formativa. I loro diritti, garanzie e meccanismi istituzionali di protezione saranno oggetto di regolamenti speciali”.
Il salesiano peruviano Alejandro Cussianovich, dottore Honoris Causa dell’Università San Marcos di Lima e co-fondatore del Primo movimento precursore MANTHOC nel 1976, considera che “Ciò che è successo in Bolivia, con l’approvazione dell’articolo 61 della nuova costituzione, è un evento storico che deve riempire di gioia non solo i NATs di Bolivia ma anche quelli di tutto il continente. È incredibile tutto ciò che sta dietro le quinte di questo apparentemente piccolo cambiamento. Una lotta di anni e un grido di autonomia dei NATs contro tutte le organizzazioni internazionali e locali che continuano a mantenere un criterio neocolonialista per quanto riguarda la normativa giuridica sui bambini e le bambine lavoratrici”.
Nuove politiche pubbliche emancipatorie e buen vivir
Considerata la nazione più povera dell’America del Sud, l’economia della Bolivia è cresciuta del 6,5% dal 2013, il miglior risultato negli ultimi tre decenni. Tra il 2007 e il 2012 la crescita annuale del PIL è stata del 4,8%.
Il Presidente Evo Morales, primo presidente indigeno del Paese sudamericano ed ex sindacalista cocalero, ha ottenuto il suo terzo trionfo nelle elezioni presidenziali dell’ottobre 2014 guadagnando il 61% dei voti.
Da quando è salito al potere, nel 2006, il boom dei prezzi delle materie prime ha fatto aumentare di nove volte i proventi delle esportazioni nazionali, così la Bolivia ha accumulato 15,5 miliardi di dollari di riserve internazionali ed ha nazionalizzato le risorse naturali come il gas.
La crescita economica è arrivata in media al 5% annuo, al di sopra del resto della regione. Evo Morales, 55 anni, ha utilizzato questi proventi per creare sussidi per bambini in età scolare e pensionati. Mezzo milione di persone è uscito dalla povertà.
Finora Morales ha speso bene i fondi a sua disposizione, e per qualunque successore sarà molto difficile abbandonare questo percorso di “investimento sociale”. Ha anche dato alla maggioranza indigena voce in capitolo nelle decisioni politiche a livello nazionale.
Va sottolineata la sua capacità di ascoltare le esigenze del popolo boliviano indio – di gran lunga maggioritario – che era stato escluso da qualsiasi progetto d’inclusione prima del suo avvento al potere. Sino ad una ventina d’anni fa nella zona sud di La Paz, quella dei ricchi, era quasi abitudine che i commessi di negozi e supermercati servissero prima i clienti “bianchi” e solo dopo gli indigeni.
Questa rottura decoloniale e opposizione al razzismo, si manifesta anche nel riconoscimento politico dei movimenti dei bambini lavoratori.
Dove nasce questa chiara contrapposizione con l’Organizzazione Internazionale del lavoro e il modello neoliberale?
Dalla sua ascesa alla presidenza, nel gennaio 2006, il leader del Movimiento al Socialismo (MAS) Evo Morales ha traghettato in una nuova era un paese rimasto a lungo attanagliato tra crisi economiche ed instabilità politica. Eletto in una fase storica in cui il processo che aveva portato allo sviluppo delle prime “rivoluzioni bolivariane” era già in atto, in cui il Venezuela di Chavez e il Brasile di Lùla facevano già ampiamente scuola con le loro politiche redistributive e la loro lotta alla disuguaglianza, Morales si è affermato come il principale esponente della seconda fase del bolivarismo.
In un libro intitolato The Rise of Evo Morales and the MAS, il politologo Sven Harten ha individuato uno dei motivi che hanno contribuito al successo della Bolivia nell’ultimo decennio nell’eclettismo che contraddistingue l’ideologia politica e l’attività pratica di Morales in campo politico. Morales, infatti, si è sempre dichiarato un convinto fautore dell’instaurazione di un regime socialista-cooperativista e della transizione graduale dal capitalismo di stampo neoliberista, da lui giudicato “il peggiore di tutti i mali”, a un’economia mista. Tuttavia, non ha mai voluto imporre con strappi improvvisi le sue politiche. Programmi graduali di nazionalizzazione dei settori strategici, primi fra tutti quello dell’estrazione mineraria e dell’incremento del salario minimo, sono stati seguiti da politiche finalizzate alla diversificazione del sistema economico, che hanno permesso alla Bolivia di rompere la trappola dell’estrattivismo in cui oggigiorno risultano impantanate nazioni in difficoltà come il Venezuela. Un report del Centre for Economic and Politic Research (http://cepr.net/publications/reports/bolivian-economy-during-morales-administration) del 2014, ha sottolineato come “la Bolivia sia cresciuta più velocemente negli ultimi otto anni [tra il 2006 e il 2014, ndr] che in qualsiasi altro periodo degli ultimi tre decenni”. Istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e quotidiani generalmente poco generosi nei confronti delle esperienze bolivariane come il New York Times hanno elogiato l’operato della Bolivia di Morales, definito dal Financial Times “uno dei leader più popolari del mondo”.
Sono numerosi i riferimenti che possiamo trovare in questa nuova Diplomazia dei Popoli caldeggiata dal Presidente Evo e dal Cancelliere Choquehuanca, ma vogliamo sottolineare che la scommessa per l’integrazione latinoamericana e caraibica viene accompagnata da un approfondimento dei rapporti Sud-Sud. In questo ambito bisogna dare rilievo alla presidenza del G7+Cina tenuta dalla Bolivia nel 2014 e la realizzazione del Vertice del Gruppo delle Nazioni Unite a Santa Cruz de la Sierra a giugno di quest’anno. Lavoro e presidenza che sono stati ricompensati con la nomina della Bolivia a presiedere proprio all’ONU il Comitato per il Processo di Ristrutturazione del Debito Sovrano, nel quadro della difesa della sovranità argentina rispetto ai fondi avvoltoio.
Ma oltre alla nuova Diplomazia dei Popoli, il mondo guarda con attenzione al cuore del Sudamerica principalmente perché la Bolivia sta costruendo un nuovo paradigma di rapporto con la natura. In un pianeta che ha raggiunto i suoi limiti di sostenibilità e un modello di crescita che implode davanti alla necessità di mantenere i tassi di guadagno del capitale, la Bolivia sostiene un modello di sviluppo che non implichi una crescita a costo dello sfruttamento dei popoli, delle persone o della natura. Bisogna ammettere che l’approvazione della Legge Quadro della Madre Terra e di Sviluppo Integrale per Vivere Bene, dovrebbe diventare un paradigma per un’umanità alla ricerca di un altro modello di sviluppo.
Dibattito in Europa
È in atto un aspro conflitto con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) la cui convenzione n.182 consente di lavorare già all’età di 15 anni.
Su questo stesso argomento anche il Parlamento Europeo ha iniziato a riflettere, promuovendo un primo dibattito nella Commissione sulla Cooperazione Internazionale il 22 gennaio 2015.
Alessandra Garda, dell’associazione BelgicaNNATs, mi racconta:
“Erano presenti l’ambasciatore della Bolivia, Rene Fernandez Revollo, il Direttore della Rete universitaria europea (ENMCR) Manfred Liebel, il direttore di UNICEF Bolivia, Marcoluigi Corsi, e una rappresentante della Commissione UE, Maria Rosa De Paolis, responsabile di inclusione sociale e lavoro minorile in DEVCO B3.
L’ambasciatore ha parlato per primo, dando risalto agli obiettivi principali della nuova Legge e soprattutto al processo partecipativo che ha accompagnato la formulazione e approvazione della stessa. A questo riguardo ha citato nomi e cognoni dei delegati di UNATSBO che aveva incontrato in una missione due settimane prima a La Paz. La parola è stata poi presa da Manfred Liebel, che ha sottolineato che questa Legge non legalizza il lavoro minorile, come una prima lettura potrebbe far pensare, ma al contrario protegge i bambini lavoratori, consentendo di creare condizioni più favorevoli. L’obiettivo sarebbe quello di eliminare le cause che inducono i bambini a lavorare, non il lavoro minorile in sé. Liebel ha parlato poi delle sfide che questa legge dovrà affrontare in termini di implementazione (Defensorias e Comitates con pochi fondi e molto lavoro); la sua realizzazione infatti necessita del sostegno da parte delle istituzioni europee e una assunzione di responsabilità anche dal punto di vista finanziario, nell’accompagnare la messa in pratica del corpo normativo.
“La Commissione UE”, prosegue Alessandra Garda, “sta chiaramente aspettando il pronunciamento ufficiale della OIT per poi prendere una posizione. Infine è intervenuto il rappresentante di UNICEF Bolivia, Corsi. Ha fatto un discorso sensato, affermando in maniera chiara e con precisi rimandi agli articoli, che la nuova legge è concorde con la Convenzione dell’ 89 e con le Convenzioni della OIT. Ha affermato poi che UNICEF é contenta di poter appoggiare questo processo di cambiamento, a patto che rientri nella strategia di analisi ed eradicazione delle cause del lavoro minorile (massimo cinque anni) nella quale lo Stato Boliviano si è impegnato.
Per quanto riguarda le reazioni, da parte dei parlamentari presenti la sensazione è che ci sia stato un lieve cambiamento di prospettiva rispetto alla questione. La europarlamentare di Podemos (gruppo GUE-NGL), Lola Sanchez Caldentey, responsabile di aver portato la discussione in questo comitato del Parlamento, ha appoggiato in pieno non solo il contenuto del Codice ma anche e soprattutto il coraggio della Bolivia di “fare le cose in maniera diversa”.
Anche da parte degli altri c’è stata sorpresa e riconoscimento del valore del proceso partecipativo. In ultimo, è stato proposto da diversi attori presenti, di estendere l’invito a partecipare ai delegati stessi della UNATSO”, conclude Alessandra Garda.
Infatti nel giugno successivo, nell’ambito di una conferenza promossa da Lola Sanchez Caldentey, ha dato la parola a una delegazione di adolescenti lavoratori boliviani e latinoamericani del MOLACNATs (parte del Movimento Mondiale dei Nats, presenti anche in Africa con MAEJT e in Asia con Cwc) ha potuto esprimere il proprio pensiero. Di conseguenza, il 23 marzo 2017, il Parlamento Europeo ha riunito la Commissione Diritti Umani (DROI) come ha documentato l’Associazione BelgicanNats di Bruxelles (http://www.belgicannats.org/).
Durante i vari dibattiti tenutisi presso il Parlamento Europeo, sono emerse le diverse posizioni delle organizzazioni e istituzioni internazionali al riguardo. Infatti, da un lato l’obiettivo dell’UNICEF rimane quello di eradicare il lavoro infantile, considerato quasi sempre “pericoloso al benessere fisico, mentale e morale del bambino”. Dall’altro invece, la Commissione Europea persegue l’obiettivo di dimostrare che sia più efficace riuscire a distinguere in due categorie i mestieri estremamente pericolosi alla salute e alla crescita del bambino, quali il lavoro agricolo o l’estrazione di materie prime, e quelli che invece non lo sono. Ciò che è emerso dal dibattito tenutosi a Bruxelles è che esiste un protagonismo giovanile in forte crescita, che sta lavorando duramente per conquistare visibilità e riconoscimento dei propri diritti all’interno delle proprie legislazioni nazionali.
Per questo motivo i movimenti dei NNats chiedono alle istituzioni internazionali che il loro contributo non sia criminalizzato a priori poiché tacciato di sfruttamento infantile, ma di essere riconosciuti e protetti come legittimi lavoratori che hanno bisogno di essere sostenuti e di godere dei propri diritti.
Solo grazie a questo processo di riconoscimento e al lavoro congiunto di società civile, organizzazioni internazionali e istituzioni pubbliche, i NNats potranno raggiungere i loro obbiettivi primari, quali: l’eliminazione dello sfruttamento e della schiavitù infantile, una protezione sociale adeguata e l’accesso universale all’istruzione e alla salute.
La contrapposizione è ancora molto accesa dopo la visita in Bolivia di alcuni delegati della Commissione UE-DROI: il romeno Christian Preda, i portoghesi Francisco Assis e Ana Gomes, l’italiano Ignazio Corrao (Italia), ed il tedesco Joachim Zeller (Germania).
Il 5 maggio 2017, Christian Preda ha presentato una sintesi della sua missione in Bolivia condannando l’autocrazia andina (http://www.tierraplus.com.bo/Bolivia/Internacional-TierraPlus/Parlamentarios-Europeos-afirman-que-Bolivia-est-en-riesgo-de-una-autocracia).
La delegazione europarlamentare ha incontrato anche degli adolescenti lavoratori organizzati nell’UNATSBO e durante la riunione plenaria del Parlamento europeo, Christian Preda ha affermato: “Abbiamo parlato anche con un’associazione del regime che si occupa di lavoro minorile a riguardo del nuovo codice boliviano che consente ai bambini di 10 anni di lavorare. Esso provoca un enorme dramma e ci preoccupa perché molti minori stanno soffrendo mentre questa associazione difendeva il lavoro legale dei minori; è stata un’esperienza al limite. Abbiamo incontrato anche il Ministro degli Esteri boliviano spiegando lui che la nostra idea di vincolare i diritti umani alla politica estera dell’Unione Europea avrà conseguenze anche nella cooperazione internazionale”.
Ma l’europarlamentare Ramón Jáuregui Atondo, Presidente della Commissione per le relazioni con l’America Latina (EUROLAT) e ministro della presidenza della Spagna nel 2011, aveva precedentemente sottolineato: “a proposito della legge sui bambini lavoratori in Bolivia, considero che i paesi latinoamericani non debbano prendere lezioni di democrazia dagli europei e pertanto dobbiamo essere rispettosi delle decisioni politiche prese da questi paesi”, come io stesso ho documentato in un reportage per l’agenzia ALAI (http://www.alainet.org/es/articulo/185429).
Cipsi: le buone pratiche sul lavoro minorile e i movimenti sociali NATs
“Credo sia una memoria necessaria degli eventi internazionali nell’arco di un periodo importante di mobilitazione fino al 2006 (?). Ho l’impressione che sia utile non solo come resoconto storico, ma anche per coloro che vogliono analizzare la lotta collettiva e l’elaborazione di un pensiero critico sull’infanzia e sull’adolescenza che sta crescendo a livello mondiale” così Alejandro Cussianovich, esperto di infanzia e adolescenza, nonché docente presso l’Università San Marcos di Lima. Il commento di Cussianovich è inserito nel prologo del paper “Incidenza politica in Europa e Movimenti dei bambini/e e adolescenti lavoratori NATS – COMPARAZIONE TRA LE BUONE PRATICHE DELLA SOCIETA’ CIVILE IN ITALIA E IN GERMANIA (2002-2006) – Interventi esclusivi di Alejandro Cussianovich, Nandana Reddy, Mandred Liebel, Teresa Tagliaventi”.
L’ebook (scaricabile on-line: https://cipsi.it/11138-2/) offre una panoramica generale delle reti della società civile dell’Italia (ItaliaNats) e della Germania(ProNats), nell’arco temporale compreso tra il 2002 e il 2006. Raccoglie molti testi e dichiarazioni oggi non reperibili on-line, la testimonianza di buone pratiche di accompagnamento politico e advocacy del protagonismo infantile che sono parte della storia del paradigma controcorrente per la promozione di nuove culture dell’infanzia sia al Nord che al Sud del Mondo, aprendo nuove frontiere non-eurocentriche pur tra mille difficoltà e contraddizioni, elaborando collettivamente – tra ONG, centrali nel commercio equo, mondo accademico, politici e parlamenti – un pensiero critico al plurale, un patrimonio che deve essere riconosciuto e valorizzato, non dimenticato.
Anche in questa occasione il Coordinamento Nazionale CIPSI ricorda l’impegno di diverse ONG socie, a favore dei NATs, quali ad esempio NATsPer di Treviso, Noi Ragazzi del Mondo di Capodarco, Terre Madri e SAL di Roma.
Per approfondire il tema del lavoro minorile in Bolivia, CIPSI mette a disposizione il paper “Trabajo infantil y políticas publicas emancipadoras en Bolivia, mayo 2017”, di Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vive dal 2001.
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