Sul libro “Nel nome dell’Umanità”, di Riccardo Petrella

L’impasse mondiale.

Nel patto che gli umani dovranno siglare per salvare loro stessi non ci sarà più spazio per esclusione e guerra. Bisogna parlare con nuove parole, che arrivino nel cuore di chi le ascolta e partano dal cervello di chi le pronuncia. Riccardo Petrella nel suo nuovo libro “Nel nome dell’Umanità, ed. Il Margine) ci parla con astuzia, con la voglia di riscatto che ha un sedicenne, ma che nei sedicenni di oggi è svanita, ci parla con la speranza che qualcosa possa cambiare davvero. Le sue parole sono quelle che ormai anche i vocabolari hanno dimenticato: solidarietà, vita, pace, giustizia, libertà, eguaglianza, amore. Conquistarci il diritto di ricostruire il domani vale più di qualsiasi altra cosa, il più grande guadagno che un essere umano possa ottenere: il futuro.”

Da Lima a Parigi, da Parigi a chissà dove. Tutti i più grandi e storici accordi in cui veramente l’umanità avrebbe potuto fare un balzo avanti sono stati semplicemente delle riunioni fra potenti, in cui il punto principale reale è stato il quando ci si poteva rincontrare, per rimandare ancora. L’attenzione è posta per qualche settimana sui temi che premono alla maggior parte dell’umanità, per poi risolversi in un nulla di fatto. La verità è che nessuno dei partecipanti alle conferenze, di Lima prima, e di Parigi, poi, aveva la minima intenzione di decidere su temi così importanti come: acqua, salute, inquinamento, beni pubblici, ambiente.

L’attesa dei potenti è ormai agli sgoccioli: la mercificazione divoratrice di ogni bene ha iniziato la sua corsa verso la conquista di ogni cosa. Il silenzio e l’apatia dimostrata a questi convegni è la prova che anche le istituzioni politiche preferiscono temporeggiare su questi temi, per ricevere in cambio una fetta di quel potere che deriva dalla gestione privata e dal controllo capitalista di tali beni. Ma l’umanità non può più attendere; c’è veramente bisogno di un obbiettivo collettivo, dettato solo dai veri bisogni umani e guidato dalla necessità, non più dalla ricchezza.

Lo sgretolarsi dell’umanità passa attraverso dei fattori chiave da analizzare in ogni loro sfaccettatura. Primo su tutti la costante e sempre più massiccia militarizzazione del globo. Dopo la fine dell’URSS, il mondo occidentale, capitanato dagli Stati Uniti, avevano promesso (ma mai auspicato) un nuovo mondo, caratterizzato da pace e armonia fra la gente. La verità è tutt’altro che questa. Trovatosi nella condizione di essere l’unica superpotenza mondiale a livello militare, gli Stati Uniti hanno potuto porre al centro della strategia politica il consolidamento della supremazia militare ed economica. Il processo di militarizzazione, spalleggiato dalla costante crescita tecnologica, ha potuto testare nuovi tipi di armi in nuovi tipi di guerre.

Dopo la fine dell’unione Sovietica la guerra è tornata, soprattutto sotto la presidenza Bush, a essere una questione strettamente legata al “Bene” e al “Male”. Sparito il nemico di sempre, gli USA hanno creduto che la riproposizione di tale clima, la creazione di un nuovo nemico da identificare come il “male mondiale”, avrebbe giovato alla nuova ondata militare. Così, gradualmente, paesi come Iraq, Afghanistan e Yemen sono divenuti dei campi di battaglia. La guerra contro il “male” era iniziata.

A testimoniare di come la guerra sia un fattore centrale per gli Sati Uniti, ma non solo, ci pensano le cifre: miliardi di dollari investiti per progetti bellici, mentre la sanità e l’istruzione viene lasciata in ginocchio, sempre più fine a se stessa e sempre più sola.

E che dire poi delle risorse naturali? Sempre più vittime dei giochi di potere delle multinazionali. Dobbiamo constatare, purtroppo, che stiamo svuotando il serbatoio che ci permette di sopravvivere quotidianamente. Le ineguaglianze legate a questo aspetto sono spaventose: le risorse (idriche, agricole, energetiche) finiscono nelle mani di una cerchia ristretta di multinazionali, che ne gestiscono i consumi, la produzione, la distruzione.

Tutto ciò è stato possibile grazie alla privatizzazione del potere politico (governance). L’uscita di scena degli attori politici dai grandi meccanismi internazionali ha spalancato la strada ai detentori di grandi capitali. La sostituzione del welfare state con la cosiddetta governance economica, ha consegnato formalmente il potere politico agli Stakeholders, i “portatori di interesse” . Sbarazzandosi dell’ostacolo “politica” gli stakeholders hanno preso in mano le decisioni reali a proposito delle tematiche più importanti, privilegiando gli interessi privati a scapito del bene pubblico e dei servizi a cui una politica rappresentativa garantiva l’accesso, seppure in forme diverse a seconda degli Sati. Esempio calzante di come si sta applicando questo nuovo paradigma è il Water Blueprint , in cui la Commissione Europea ha affidato ai portatori di interessi privati , principalmente rappresentanti di grandi multinazionali, lo sviluppo nel settore idrico.

Si aggiunge a questo agghiacciante schema la più sfrenata finanziarizzazione dell’economia, che vede nella finanza l’unico scenario in cui l’economia può crescere e migliorarsi, senza considerare gli altri aspetti o, se considerati, etichettati come non importanti o superflui. La decisione spetta agli algoritmi informatici. L’economia è stata svuotata della componente umana, unica componente che poteva tenere in piedi il sistema economico. Così facendo, si è creata un’economia fine a se stessa, sempre più tecnica, sempre meno volta alle persone, ma chiusa, invece, ad un èlite che, attraverso la sua nuova creazione, prospera e cresce, contribuendo allo sfinimento del pianeta e della razza umana.

Le cause dell’impasse.

Le spiegazioni date all’impasse mondiale si possono tradurre in tre visioni diverse fra loro: la causa naturalistica vede come responsabile delle distruzioni odierne la natura umana. L’egoismo, la competitività, la violenza e la guerra sarebbero degli schemi comportamentali inscritti in noi, che emergono naturalmente, gettando così il problema nell’irreversibilità. Alla natura umana vengono legate le più grandi brutture della nostra (ma non solo della nostra) epoca: povertà, guerra, deforestazione ed inquinamento. Tutti questi problemi sarebbero legati all’umana struttura. In realtà, si può notare come guerre, povertà, distruzione ambientale siano tutte delle strategie che i potenti utilizzano per accrescere la loro ricchezza ed il loro potere. Non sbalordisce, infatti, che questa tesi sia sostenuta proprio dai grandi proprietari e dagli imprenditori multinazionali.

Da qui parte la seconda spiegazione data all’impasse: la causa sistemica. Si sta scavando una grotta sempre più profonda negli animi umani la convinzione che i problemi del mondo siano irreversibili, in quanto figli legittimi di un sistema organico gigantesco e molto più grande dell’azione umana, sia essa personale o collettiva. Il concetto too big to fail è stato creduto vero per anni e, ancora oggi, riesce a ricavare il suo spazio fra le opinioni. Ma la verità è che non si è mai too big to fail. Il crollo delle borse e il fallimento di colossi bancari nel 2008 hanno dimostrato che si può fallire anche se si è un mostro della finanza. L’unica ragione che tiene ancora in piedi questa tesi non è data dalla veridicità della stessa, quanto dalla criminalizzazione del sistema e dalla mancanza di criterio dei potenti, che continuano a seguire la stessa strada piuttosto che fare mea culpa e cambiare il loro modo di agire.

La tesi sostenuta sul saggio, invece, parla di un’umanità assente. L’impasse si perpetua perché non si riesce a scavare dentro se stessi per cercare la soluzione. Il vuoto lasciato dal fallimento della democrazia e dal rimpiazza mento del welfare state ha generato delle nuove sensazioni di inquietudine, di paura, di rifiuto verso una società plurale e multietnica. Lo scopo dovrebbe essere quello di creare una nuova identità sociale, forte ed affermata. L’esempio da prendere in considerazione sono le donne e i movimenti femministi: facendo appello alle caratteristiche che le contraddistinguono e trovando lo scopo comune di svincolarsi dalle ingiustizie e dal dominio maschile, le donne hanno potuto creare una loro identità, ben definita. Lo sciopero mondiale (obiettivo mancato anche dai movimenti operai e contadini dell’800) ha visto una forte adesione fra le donne lavoratrici, a testimonianza di come, se si costruisce qualcosa di concreto e insieme, la risposta può arrivare e farsi sentire anche su vasta scala.

I produttori/distruttori di senso oggi.

Quando si parla di “senso” possiamo spaziare fra vari argomenti che possono legarsi alla parola: “senso della vita”, “delle cose”, “del discorso”. Ciò che molto spesso si dimentica, però, è che questo “senso” non è qualcosa che sovrasta l’esistenza umana, ma è immaginato proprio da essa. E’ qui che entrano in gioco i “produttori di senso”. Essi si muovono fra varie categorie, agendo sempre “in nome di..” per legittimare e accrescere il loro agire e il loro esprimersi. Le tre categorie in cui i produttori di senso si muovono sono

In nome di Dio.

-In nome del popolo, della nazione.

in nome del denaro.

Nel primo caso, quando si agisce in nome di Dio si vuole far leva sulla profondità morale che un tema del genere solleva. Ormai il concetto di Dio, almeno in Occidente, ha perso la valenza che possedeva fino a qualche decennio fa. Ciononostante la caratteristica specifica di in nome di Dio si riferisce a qualcosa di extra-umano, qualcosa che è al di sopra dei comuni mortali e che suscita, quindi, una sorta di obbedienza incondizionata verso qualcosa che supera di gran lunga la volontà e lo spirito umano. Gli esempi più calzanti sono, purtroppo, gli attentati terroristici che hanno sconvolto l’Europa in questi anni: possiamo affermare che fino a quando l’espressione in nome di Dio continuerà a capeggiare sistemi di produzione di senso differenti fra loro, questi continueranno a produrre conflitti per affermare la supremazia del loro Dio personale.

La perdita di carica che il termine Dio ha subito ha portato i produttori di senso a spostare le loro azioni in nome di.. verso qualcosa di più concreto e tangibile: il popolo, la nazione. Questi due termini discostano fra loro per quanto riguarda il significato, ma agire in nome del popolo o in nome della nazione, ha fatto in modo che la carica simbolica di questi due concetti acquistasse importanza.

Per quanto riguarda il popolo, possiamo affermare che ognuno di noi fa parte di un popolo o di più popoli; ciò significa che il concetto di popolo non è univoco. L’agire in suo nome, in nome del popolo, ha però dato vita agli stessi atteggiamenti che il concetto di Dio aveva creato precedentemente. Il concetto di popolo, però, non affonda le sue radici in tutte le culture: in Cina o in Giappone, ad esempio, si da molta più importanza a concetti come l’etnia.

E’ sotto la nazione che il popolo trova la sua espressione. Più nello specifico, la nazione accomuna tutti coloro abbiano la stessa provenienza e condividano la stessa cultura, la stessa memoria storica e che condividono lo stesso territorio. In passato in nome della nazione ha dato vita a dei capitoli oscuri della storia dell’umanità. Anche oggi, ciò che si muove in nome della nazione implica nazionalismo, razzismo o etno-razzismo. La storia ha poi dimostrato come popolo e nazione siano opposti, o che comunque non si trovino dallo stesso lato della scacchiera. Questo deriva dal fatto che molti popoli sono scomparsi con la nascita delle nazioni: quando la nazione fissa lo standard secondo cui qualcuno può sentirsi membro della stessa, tutti coloro che vivono in quelle zone ma non rientrano nei parametri stabiliti sono vittime di pulizia etnica o di veri e propri genocidi.

Con l’avvento della globalizzazione e il mescolarsi delle varie etnie e dei vari popoli, anche il concetto di in nome del popolo, della nazione ha visto scemare la sua valenza. Superati i limiti nazionali, scavalcate le differenze fra i popoli, i produttori di senso hanno cominciato a parlare ed agire in nome del terzo e grande mostro che impedisce l’unione dell’umanità: il denaro. Ovunque, ormai, le regole del vivere insieme sono dettate in nome del denaro. I cittadini e le persone sono subordinati alla ricchezza prodotta, la realtà e mercificata fino all’osso, non esiste più nulla, quando si agisce in nome del denaro, che non abbia un valore in termini economici.

Quando si parla in nome del denaro si fa riferimento ai tre fratelli che rendono il soldo un entità superiore: il capitale, l’impresa e il mercato. Attraverso questi concetti, l’umanità è stata ridotta in ginocchio, al servizio di un’entità superiore agli esseri umani e che vede come lecito il fatto che esistano persone che dispongono di beni materiali infiniti e chi, dall’altra parte della scala sociale, non riesce a portar da mangiare ai propri figli e a se stesso. Anche se è stato mistificato ricorrendo ai primi due concetti, in nome del denaro è il motivo che sta scatenando più di una guerra intorno al globo; guerre per l’arricchimento, per accaparrarsi tutto ciò che si può accaparrare, per avere più degli altri.

L’assenza dell’umanità.

Avendo citato più volte il termine “Umanità” è giusto renderci bene conto di che cosa si intende per umanità. Per “umanità” intendiamo gli individui che, attraverso la loro coscienza, si rendono conto che la loro esistenza è qualcosa di determinante e che le loro azioni possono fare la differenza. L’umanità nasce da sentimenti profondi quali la solidarietà, la fratellanza, il rispetto reciproco. L’umanità agisce e pensa secondo delle parole chiave. Una su tutti è la parola ubuntu. Nella lingua Bantu ubuntu significa “persona consapevole di essere legata agli altri” ma può assumere altri significati, a seconda dell’idioma in cui la si analizza (in kinyarwanda e in kirundi, ubuntu è un concetto che esprime “benevolenza verso gli altri”. La parola illustra chiaramente l’idea dell’umanità. Tutto questo costruire insieme una realtà sociale aperta e volta verso il futuro differenzia l’umanità dalla specie umana, intesa come animale che esiste e basta, che non si interroga, che non spinge la sua consapevolezza oltre.

Il “patto dell’umanità”.

Per stipulare un vero patto fra tutti gli esseri umani e ricominciare insieme a scrivere il nostro futuro, l’umanità dovrà ripartire da tutti quei punti in cui la nostra epoca sta fallendo. Riformulare le idee di progresso partendo proprio dai quattro assenti, definiti così da Riccardo Petrella, per promuovere unità e pace. Il primo assente sono i diritti umani: purtroppo calpestati più e più volte anche da coloro che si battevano tanto, nella retorica, per la loro salvaguardia ed applicazione. Nel 2017 ,nelle agende Onu, non troviamo più questo concetto, come se ribadirlo fosse superfluo.

Il secondo assente sono i beni comuni pubblici mondiali. Nella società attuale niente è più pubblico ormai; ci si ritrova dinanzi a delle espropriazioni legalizzate di ciò che l’umanità utilizza come fonti necessarie e primarie di sostentamento e di utilizzo. Tutto è nelle mani di pochi.

Il terzo assente è la democrazia stessa. Abbandonato il concetto di democrazia partecipativa, il mondo sta per essere trascinato in un’oligarchia mascherata, al cui vertice si sono poste le grandi multinazionali e gli imprenditori, che sembrano sempre più spietati. L’aver negato un concetto così fondamentale come quello della democrazia significa, nella pratica, fare in modo che nulla cambi, che tutto resti così; l’aggettivo “democratico” è ormai fuori uso dai palazzi del potere economico.

Ed ecco che, in assenza di democrazia, nasce il quarto assente: i cittadini. Nulla è fatto per i cittadino, ormai; tutto è dettato in nome del denaro e della crescita economica. L’assenza dei cittadini dai piani poitici riflette uno scenario mondiale triste; nella retorica i cittadini sono portati al primo posto, ma nella realtà ci si rende conto di come quest’ultimi siano tralasciati ed abbandonati.

I principi fondamentali dai quali ripartire, per annullare l’assenza dei concetti citati precedentemente, devono entrare con forza nella visione collettiva e nel senso comune per poter ribaltare la situazione e rimescolare le carte in tavola. I principi dai quali si dovrebbe ripartire sono sei:

-il principio della vita: principio che afferma il valore assoluto della stessa e ne implica il rispetto, in ogni sua forma e varietà.

il principio della giustizia: principio che deve esprimersi in tutti i modi possibili. La giustizia non deve essere più espressa come il volere di alcuni dominanti. Essa, piuttosto, rispecchierà quei valori di umanità già citati, ed agirà in loro funzione, così da non posizionare sul banco degli imputati chi viene semplicemente accusato da leggi stipulate dall’alto.

il principio dell’eguaglianza: essendo gli individui nati uguali, si presuppone che la loro uguaglianza cresca di pari passo alle loro vite. In realtà, l’accesso pubblico e paritario alle risorse è stato ristretto e l’uguaglianza non è stata più assicurata; è morta alla nascita. Con questo principio si vuole dar vita a d una distribuzione economica, sociale e politica delle risorse uguale per ogni cittadino.

Principio della democrazia e principio della cittadinanza: si associano, in quanto uno non può privarsi dell’altro. Umanità e cittadinanza sono sinonimi e non si può immaginare un futuro roseo se la cittadinanza è concepita come qualcosa di esclusivo e limitato. Lo stesso dicasi della democrazia: come si può prospettare un domani migliore se i valori democratici vengono calpestati? Se le richieste delle persone di applicare questi ultimi vengono soffocate?

L’umanità organizzata deve ripartire da questi principi per riorganizzare il proprio futuro e per scappare al disastro che ci stiamo riservando. Apartheid sociale e produzione di massa saranno un ricordo; la privatizzazione delle risorse pubbliche mondiali e utilizzo scellerato delle stesse verrà guardato come un crimine irripetibile dalle future generazioni. Attraverso questi principi, attraverso la cancellazione del modello capitalista occidentale, l’umanità si riapproprierà di quella voglia di cambiamento che gli era stata rubata decenni fa. Il passo successivo spetta a noi.

 

Riccardo Petrella: “È ora di esaminare la strategia dell’alternativa. Gli esseri umani hanno diritto al sogno, un sogno che non sia quello delle agitazioni notturne, bensì l’espressione consapevole dei loro desideri e della loro volontà di partecipare alla costruzione del futuro della società; un sogno ad occhi aperti, in pieno giorno, nel mezzo della loro quotidianità. Un sogno da realizzare: il Patto sociale degli abitanti della Terra”.

Cipsi Onlus

Solidarietà e Cooperazione CIPSI è un coordinamento nazionale, nato nel 1985, che associa oltre 40 organizzazioni non governative di sviluppo (ONGs) ed associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale. Solidarietà e Cooperazione CIPSI è nato con la finalità di coordinare e promuovere, in totale indipendenza da qualsiasi schieramento politico e confessionale, Campagne nazionali di sensibilizzazione, iniziative di solidarietà e progetti basati su un approccio di partenariato. opera come strumento di coordinamento politico culturale e progettuale, con l’obiettivo di promuovere una nuova cultura della solidarietà.

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