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Le città come beni comuni

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Un regolamento comunale che “traduce” la Costituzione ed una cabina di regia per la cura dei beni comuni, il contributo di Labsus alla ricostruzione del Paese

Se è vera l’ipotesi secondo cui in Italia i cicli storici durano in genere venti anni, allora forse in questi mesi si sta chiudendo un ciclo e se ne sta aprendo uno nuovo, in una situazione che ricorda molto quella del secondo dopoguerra.
Anche oggi, come allora, il Paese è in macerie, materiali e morali. A differenza di allora, però, non sembra esserci la stessa voglia di ricominciare e, soprattutto, non c’è un’idea forte intorno a cui mobilitare le energie di cui pure l’Italia è ricca.
Nel dopoguerra invece l’obiettivo era chiaro. Si trattava di rimettere in piedi, letteralmente e metaforicamente, un Paese distrutto dalle devastazioni belliche, piegato da vent’anni di dittatura e umiliato da una guerra persa. In più c’era la voglia di riscatto sociale di moltitudini che nella Repubblica e nella democrazia vedevano finalmente l’occasione per uscire da secoli di sudditanza e di miseria.

Il “miracolo economico”

Grazie a tutto questo negli anni Sessanta del secolo scorso fu possibile quello che venne chiamato, anche all’estero, il “miracolo economico” italiano. In quegli anni il reddito pro capite degli italiani triplicò e per la prima volta milioni di persone ebbero accesso a beni e servizi fino a quel momento appannaggio di pochi, dall’automobile alla casa, dalle ferie agli elettrodomestici, dall’istruzione all’assistenza sanitaria.
Furono anni di grande sviluppo, ma fu una crescita tutta fondata sulla produzione, possesso e consumo di beni privati, a danno del paesaggio, del territorio, degli spazi urbani, dell’ambiente, in una parola dei beni comuni, materiali ma anche immateriali. Se consideriamo la coesione sociale come un bene comune immateriale, per esempio, non c’è dubbio che la coesione di molte comunità del meridione fu incrinata dalle grandi migrazioni di quegli anni verso le fabbriche del nord.

Meno consumi e meno beni

Oggi comunque quel tipo di sviluppo è irripetibile perché non ci sono più le condizioni che lo resero possibile. Per decenni, dopo la seconda guerra mondiale, il 20 per cento della popolazione mondiale (fra cui noi italiani) ha sfruttato l’80 per cento delle risorse del pianeta. Quell’assetto ha consentito a noi occidentali di vivere bene, molto meglio che nel passato, ma oggi non è più proponibile, non soltanto perché profondamente ingiusto, ma soprattutto perché materialmente non più sostenibile.

In Asia, in America Latina ma anche in Africa ci sono paesi che stanno crescendo a ritmi paragonabili a quelli dell’Europa degli anni Sessanta. In questi paesi vive il 40 per cento circa della popolazione mondiale. Se continuano a crescere con questi ritmi, poiché le risorse del pianeta non sono infinite, qualcuno in qualche altra parte del mondo dovrà diminuire i propri consumi.
Ed è molto probabile che tocchi a noi europei, piuttosto che non agli americani. E, fra gli europei, a noi italiani, che siamo fermi da almeno un decennio.

Un’idea forte per ricominciare

Si ritorna a quello che si diceva all’inizio sul nuovo ciclo che si sta aprendo. L’Italia è in bilico, questi sono i mesi in cui saranno prese le decisioni che determineranno il nostro futuro per almeno un altro ventennio, ma a differenza che nel dopoguerra non è chiaro qual è l’obiettivo intorno a cui mobilitare il Paese.
Si dice che al risanamento finanziario va accompagnata la crescita, ma quale crescita? Quella fondata sul possesso e consumo di beni privati può contribuire soltanto in parte alla ripresa del Paese, per i motivi visti ora. E comunque, se fosse facile far ripartire quel tipo di sviluppo, oggi non avremmo il 40 per cento di disoccupazione giovanile!

La seconda ricostruzione

Ci vuole qualcos’altro, un’idea forte capace di mobilitare le tante energie di ogni genere che pure noi italiani abbiamo.
La seconda ricostruzione del Paese, questo può essere l’obiettivo intorno a cui chiamare a raccolta gli italiani (e sono tanti) che, come dimostra la nostra Italia dei beni comuni, non si rassegnano all’imbarbarimento ed al declino. Una ricostruzione fondata questa volta soprattutto sulla cura e sullo sviluppo dei beni comuni materiali ed immateriali, quei beni che se arricchiti arricchiscono tutti e se impoveriti impoveriscono tutti.

Non è affatto un obiettivo utopistico, perché la seconda ricostruzione è già in corso, in quanto migliaia di cittadini attivi si stanno già prendendo cura dei beni comuni presenti sul proprio territorio, ma senza la consapevolezza che le loro singole, spesso piccole ed isolate iniziative fanno parte di un più ampio movimento di ricostruzione materiale e morale.

Ricostruzione materiale e morale

Ricostruzione materiale, in quanto le attività di cura dei beni comuni svolte dai cittadini contribuiscono in maniera significativa al miglioramento della qualità della vita sia dei cittadini attivi medesimi, sia di tutti gli altri membri della comunità.
Ricostruzione morale, per due motivi. Innanzitutto perché in un Paese umiliato dalla corruzione, dall’arroganza e dall’incompetenza della classe dirigente il fatto che semplici cittadini assumano autonomamente l’iniziativa di curare i beni di tutti, non soltanto i propri, dimostra concretamente come nella società civile ci siano ancora senso di responsabilità e di appartenenza, solidarietà e capacità di iniziativa.

Da Io a Insieme

Ma i cittadini attivi contribuiscono alla ricostruzione morale anche sotto un altro profilo. Per anni tutto il dibattito politico ha fatto perno intorno alla centralità di singoli individui.
Il processo è iniziato nei primi anni Novanta del secolo scorso con la legge sull’elezione dei sindaci e si è poi accentuato nel ventennio successivo, in cui persino i partiti, che dovrebbero essere soggetti collettivi al servizio di un progetto politico condiviso, sono diventati aggregati al servizio delle ambizioni di un singolo.
I cittadini attivi dimostrano invece ogni giorno con i loro comportamenti che la politica, come diceva Don Milani, consiste “nell’uscire insieme dai problemi, uscirne da soli è avarizia”. Quando dei cittadini si prendono cura degli spazi urbani del proprio quartiere, apparentemente stanno “soltanto” facendo la manutenzione di una piazza, una fontana, un giardino pubblico, una scuola, e così via. In realtà, stanno facendo qualcosa di molto più importante, stanno cioè curando e rafforzando i legami che tengono insieme la loro comunità.

In altri termini quei cittadini attivi stanno facendo un passaggio cruciale, dalla I di Io, che ha dominato l’ultimo ventennio, alla I di Insieme, il concetto che dovrebbe essere il riferimento ideale al centro della seconda ricostruzione del Paese.

Un regolamento per attuare la Costituzione

Insomma, i fatti che danno sostanza alla seconda ricostruzione stanno già accadendo, si tratta di dar loro un senso, interpretarli, sostenerli sul piano teorico e pratico. Labsus lo farà nel 2014 principalmente attraverso due iniziative.
Da un lato la diffusione in tutti i comuni italiani del regolamento per l’amministrazione condivisa che abbiamo redatto a Bologna negli ultimi due anni, con il sostegno convinto e fattivo dell’intera amministrazione comunale. Si tratta della prima “traduzione”, per così dire, del principio costituzionale di sussidiarietà in norme di livello amministrativo, che gli enti locali potranno utilizzare per instaurare rapporti di collaborazione con i cittadini che intendono curare i beni comuni del territorio.
Finora mancava uno strumento che consentisse di disciplinare tali rapporti. Ciò da un lato frenava gli amministratori locali disposti a riconoscere i cittadini come soggetti portatori di risorse, non soltanto di bisogni, cioè come potenziali alleati nel perseguimento dell’interesse generale. Dall’altro costituiva invece un alibi per coloro che non intendono lasciare spazio alle autonome iniziative dei cittadini per la cura dei beni comuni perché vedono nei cittadini attivi una minaccia alla propria posizione di potere. Ora quell’alibi non c’è più.
Il regolamento sarà simbolicamente “regalato” dal Sindaco di Bologna Merola a tutti gli amministratori locali italiani in un evento che si terrà in Sala Borsa, a Bologna, la mattina di sabato 22 febbraio.

La cabina di regia per la cura dei beni comuni

L’altra iniziativa con cui Labsus intende nei prossimi mesi sostenere la seconda ricostruzione del Paese è quella, già illustrata più volte, della cabina di regia per il coordinamento delle infinite esperienze locali di cura dei beni comuni da parte dei cittadini.

Ognuna di queste esperienze è come un lampione, che illumina solo una piccola porzione di territorio. Se invece si riuscisse a collegare fra loro tutti questi lampioni la loro potenza luminosa potrebbe illuminare tutto il Paese. Fuor di metafora, come abbiamo spiegato altre volte, se si riuscisse a mettere in contatto fra di loro i gruppi di cittadini attivi che nei quartieri e nei paesi di tutta Italia si stanno prendendo cura dei beni comuni, aiutandoli a scambiarsi esperienze, soluzioni, idee, i risultati del loro intervento sarebbero moltiplicati, contribuendo in maniera determinante alla rinascita del Paese.

E questo è esattamente ciò che cercheremo di fare, con l’aiuto di tutti coloro che hanno capito che nei prossimi mesi ci giochiamo il futuro.

Fonte:  http://www.labsus.org/2014/01/la-seconda-ricostruzione-e-beni-comuni/

Sito web del progetto promosso da Labsus in collaborazione con Comune di Bologna, Fondazione del Monte, Antartide
http://www.cittabenicomuni.it/

Sito web di Labsus
http://www.labsus.org/

Visita il sito del progetto “Le città come beni comuni”

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Ufficio stampa

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