CIE: i dati nazionali del 2013
Centri di identificazione ed espulsione: i dati nazionali del 2013.
Strutture sempre più inutili e afflittive
Roma, 12 febbraio 2014 – Medici per i Diritti Umani (MEDU) rende noti i dati nazionali sui centri di identificazione ed espulsione (CIE) relativi all’anno 2013. Secondo la Polizia di Stato, nel 2013 sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione (CIE) operativi in Italia. Meno della metà di essi (2.749) è stata però effettivamente rimpatriata, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) che è risultato inferiore del 5% rispetto all’anno precedente: 50,5% nel 2012 versus 45,7% nel 2013. Il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i CIE nel 2013 risulta essere lo 0,9% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità che si stima essere presenti sul territorio italiano (294.000 secondo i dati dell’ISMU al primo gennaio 2013).
I numeri confermano, dunque, da un lato l’inefficacia e l’irrilevanza dello strumento della detenzione amministrativa nel contrasto dell’immigrazione irregolare, dall’altro l’inutilità e l’irragionevolezza dell’estensione del trattenimento da 6 a 18 mesi (da giugno 2011) ai fini di un miglioramento nell’efficacia delle espulsioni. Del resto, l’abnorme prolungamento dei tempi massimi di detenzione amministrativa sembra aver contribuito unicamente ad esacerbare gli elementi di violenza e disumanizzazione di queste strutture. Tale evidenza è stata sistematicamente riscontrata dai team di MEDU durante le 18 visite effettuate in tutti i CIE nel corso degli ultimi due anni (si veda rapporto Arcipelago CIE). Sebbene i dati 2013 della Polizia di Stato segnalino un tempo medio di permanenza all’interno dei CIE di 38 giorni, tale dato deve necessariamente essere scorporato per un’adeguata analisi, dal momento che rappresenta una media di tutte le persone transitate nei centri, includendo categorie di migranti trattenuti anche per periodi brevissimi, come ad esempio i migranti il cui trattenimento non è stato convalidato dall’autorità giudiziaria. Di fatto, gli operatori di Medici per i Diritti Umani hanno rilevato numerosi casi di migranti trattenuti per periodi superiori ai 12 mesi, anche in condizioni di estrema vulnerabilità e di grave disagio psichico (si vedano i comunicati su Trapani Milo e Gradisca d’Isonzo). A conferma dell’aggravamento del clima di tensione e dell’ulteriore deterioramento delle condizioni di vivibilità all’interno dei centri di identificazione ed espulsione, vi sono le numerose rivolte e proteste che si sono susseguite nel corso del 2013 e nel primo scorcio del 2014. Le istituzioni non possono continuare ad ignorare questo stato dei fatti ed è necessario che il governo affronti con urgenza la questione del superamento di strutture – i centri di identificazione ed espulsione – del tutto incapaci di garantire il rispetto della dignità umana e i più elementari diritti della persona.
Nel corso del 2013 del resto, di fronte all’immobilità dei decisori politici, il “sistema CIE” è sembrato implodere motu proprio di fronte a inefficienza, condizioni di vita disumane che alimentano rivolte e proteste disperate, tagli ai budget di gestione che pregiudicano anche i servizi più essenziali. Attualmente otto centri sono stati temporaneamente chiusi a causa di danneggiamenti o problemi di gestione, mentre i cinque CIE di Torino, Roma, Bari, Trapani Milo e Caltanisetta operano con una capienza molto limitata. Per tutte queste strutture vale la considerazione fatta a proposito del CIE di Trapani Milo in occasione dell’ultima visita effettuata degli operatori di MEDU il 23 gennaio scorso: un luogo di inutile sofferenza. Sofferenza e disagio che colpisce in primo luogo i migranti trattenuti, ma che pervade e raggiunge in diverso modo tutti coloro che vi operano: dagli operatori degli enti gestori alle forze di polizia.
MEDU torna dunque a chiedere:
1) la chiusura definitiva degli otto CIE temporaneamente non operativi e la chiusura dei cinque centri di identificazione ed espulsione ancora aperti in ragione della loro palese inadeguatezza strutturale e funzionale;
2) la riduzione a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, del trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio.
3) l’adozione di misure di gestione dell’immigrazione irregolare, caratterizzate dal rispetto dei diritti umani e da una maggior razionalità ed efficacia (vedi le proposte di MEDU nel rapporto Arcipelago CIE) nell’ambito una profonda riforma delle politiche migratorie e dell’attuale legge sull’immigrazione.
Fonte: MEDICI PER I DIRITTI UMANI
Info: posta@mediciperidirittiumani.org>