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PONTI, Senegal: “Lasciare il proprio paese fa soffrire”

Il 25 ottobre 2017, a Cittadella (PD), abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Issakha K. A. Diop, sindaco di Pikine Est, e Daouda Saar, assessore al partenariato e la cooperazione.

Pikine è il dipartimento più popolato del Senegal. Pikine Est è un comune che vi si trova all’interno e conta di 90.000 abitanti. L’associazione Una Proposta Diversa – UPD è legata a Pikine Est in quanto partecipa al finanziamento del progetto PONTI: Inclusione sociale ed economica, giovani e donne, innovazione e diaspore, insieme al Coordinamento Nazionale CIPSI,  presente da anni in quel territorio. La visita del sindaco e dell’assessore è stata un’occasione per conoscere le realtà italiane che collaborano per lo sviluppo del loro Paese, ma anche per noi dell’associazione, un’opportunità per confrontarci sui temi dell’emigrazione, dello sviluppo e della cooperazione.

Qui di seguito l’intervista fatta ad entrambi:

Sindaco, assessore, come descrivereste il Senegal?

Il Senegal è un paese dell’Africa Occidentale, Dakar, la capitale, è il porto d’entrata. È un’antica colonia francese che ha ottenuto l’indipendenza nel 1960, dopo una lotta di resistenza. Dopo l’indipendenza il Senegal ha sempre vissuto in un clima di pace: è il solo stato dell’Africa dell’Ovest dove non vi sono stati colpi di stato o guerre. Oggigiorno è un paese democratico che sta cercando di affrontare un percorso di sviluppo, il cui tasso al momento si aggira intorno al 7%.  La maggior parte della crescita è dovuta alla scoperta recente di giacimenti di petrolio e di gas che permette al Senegal di essere uno tra i primi detentori mondiali di giacimenti di combustibile fossile. Nonostante questa crescita, però, la povertà resta molto presente nel Paese. Tuttavia, negli ultimi trenta anni si può notare la differenza di sviluppo sia dal punto di vista economico che di infrastrutture.

Nonostante questo sviluppo, vediamo che molti giovani lasciano il Senegal per l’Europa. Che cosa manca loro?

Il primo problema è che non vi sono i mezzi, non ci sono risorse né a livello familiare né a livello statale. La povertà è la madre di tutto; povertà culturale quanto economica. La grande causa di questa indigenza è la carenza di risorse naturali. In 150 anni di colonizzazione i francesi hanno portato via tutto e oggi controllano molti dei frutti del progresso: l’aeroporto, il porto, le telecomunicazioni. Perciò, nonostante il Paese sia indipendente già da 57 anni, le conseguenze del colonialismo non sono state ancora superate, infatti, a scuola si studia il francese e non il senegalese che è la lingua ufficiale. Anzi, il colonialismo si è tramutato in neo-colonialismo: non vi è più solo lo sfruttamento delle risorse interne ma il controllo di tutti i servizi. Nei primi decenni dopo l’indipendenza siamo riusciti a sostenerci autonomamente grazie alla coltivazione e l’esportazione degli arachidi, ma oggi è messa a dura prova dalla desertificazione. Perciò quello che ci rimane è il filo invisibile che ci lega al nostro ex colonizzatore. La Francia è vista come la responsabile del sottosviluppo e del controllo su tutti i centri di interesse. L’Europa è vista come il centro d’azione e la fonte del materiale segnato dal libero scambio, dal liberalismo e dal capitalismo.

In qualità di amministratori locali come cercate di contrastare questa povertà?

Pikine Est è un territorio collocato al centro del dipartimento di Pikine, un centro di reti di convergenza di persone che arrivano dalle periferie e cercano di raggiungere la capitale. A causa della sua peculiare posizione si è trasformato un dormitorio. Il 70% della popolazione è giovane e dinamica, perciò come Comune abbiamo deciso di investire nelle due risorse più evidenti: i giovani e le donne. Per quanto riguarda i giovani vi è una politica nazionale che supporta l’iscrizione alle scuole, ma non è abbastanza efficace perché permane un alto tasso di abbandono scolastico. Come municipalità abbiamo deciso di creare una scuola gratuita per chi precedentemente ha interrotto gli studi. L’obiettivo è quello di recuperare quei giovani costretti, più o meno coscientemente, a non proseguire gli studi. Di fianco a questa scuola è stata costruita una biblioteca e un centro professionale per accompagnare coloro che, per problemi di concentrazione, non sono attratti dallo studio. I progetti sono stati possibili grazie alla collaborazione con il CIPSI. Offrire formazione e qualificazione ai giovani significa donare loro la possibilità di essere attivi nel sistema. Infatti le persone come me che hanno avuto la possibilità di studiare non sentono l’esigenza di emigrare. Tutti devono vivere a casa propria e avere la possibilità di scegliere con coscienza. Chi non ha formazione culturale vede l’Europa come la terra dorata, dato che in Senegal non vi sono possibilità.  Ecco quindi che emigrare significa vivere soffrendo perché perdono tutti i punti di riferimento, ma spesso stare a casa significa morire. I giovani si alzano e non sanno cosa fare, dunque il problema fondamentale sono i giovani senza formazione e senza occupazione.

Qual è secondo voi il futuro del Senegal? Come vedete un coinvolgimento dei paesi sviluppati che non nasconda la trappola del neo-colonialismo?

Molti sono gli aiuti che possiamo ricevere ma uno è il concetto di base che dovete tenere presente: bisogna cercare le risorse buone tra i senegalesi, non sono gli europei che con la formazione e la cooperazione riescono, da soli, a far sviluppare il Paese. Non si può fare solo formazione unilaterale perché gli africani non devono diventare europei. E gli europei non devono diventare africani. Ci deve essere uno scambio che rispetti e valorizzi le differenze tra le varie culture: gli africani non hanno l’esperienza europea e per questo è necessario acquisirla, ma poi la conoscenza bisogna applicarla alla realtà africana. Come è stato per l’assessore Daouda Sarr, che è stato un immigrato in Italia dove ha studiato, ma dopo ha deciso di tornare nella sua terra e servire la sua patria che aveva bisogno di lui. L’esperienza acquisita all’estero deve essere correlata alla volontà di tornare. Emigrare aiuta a capire e a riflettere. Ci sono molti senegalesi che tornano, ma devono essere ben convolti e preparati. Se si torna senza consapevolezza e senza un piano di vita, torna la tentazione di ripartire. Perciò ai giovani bisogna dare una formazione e poi accompagnarli. L’emigrazione è un progetto, come lo deve essere il loro ritorno. Coloro che ritornano sono una ricchezza importante.

Infine, rispetto ai progetti di cooperazione, chi aiuta deve avere una visione dialogante che accompagni e permetta di formare. Non si deve solo assicurare un futuro attraverso l’insegnamento e i materiali, ma bisogna mettersi nell’ottica di chi poi rimane nel territorio, di chi poi ci vivrà. Tutto deve essere legato alla possibilità di lavoro che si protrae nel futuro.  Sempre nel rispetto dei valori e della cultura locale, perché voi europei avete valori che noi africani non abbiamo. L’Africa è segnata da un forte rapporto con la famiglia, voi avete un forte culto del lavoro e siete senza dubbio più sviluppati. Però il futuro del mondo è un villaggio mondiale, è unico! Culturalmente e intellettualmente possiamo fondare uno scambio attraverso la cooperazione culturale ed economica. L’Europa ha le infrastrutture, l’Africa ha le risorse e forti valori sociali e familiari. Attraverso la cooperazione può esserci uno scambio, ed accompagnandoci l’un l’altro possiamo trovare l’equilibrio. Siamo tutti interdipendenti … Ognuno trae benefici dall’altro per formare il nuovo. Ciò che ancora manca è la solidarietà! Gli africani che devono uscire dal condizionamento europeo prendendo maggiore coscienza della propria identità, altrimenti c’è il rischio di rafforzare la neo-colonizzazione ed essere colonizzati dalla cooperazione. Chi ha già da lavorare nel proprio Paese non ha il desiderio di migrare e questo è dato da una consapevolezza di interessi e progetti che fa sì che gli africani diventino protagonisti del proprio sviluppo.

Questa consapevolezza sta aumentando tra la popolazione senegalese e di Pikine?

Si sta sviluppando sempre di più nei giovani, ed è per questo che bisogna investire su di loro. Dobbiamo far sì che vadano a scuola. In questo modo si rendono coscienti della realtà che vivono e dei problemi del Paese. La soluzione per accrescere la coscienza identitaria degli africani sta nel garantire la formazione e un lavoro, a ciascuno!

Francesca Cassaro (volontaria in Servizio Civile Nazionale – progetto “Costruire territori solidali coi minori”)

Lucia Tonellotto (volontaria gruppo UPD)

 

 

 

 

Coordinamento

Solidarietà e Cooperazione CIPSI è un coordinamento nazionale, nato nel 1985, che associa organizzazioni non governative di sviluppo (ONGs) ed associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale. Solidarietà e Cooperazione CIPSI è nato con la finalità di coordinare e promuovere, in totale indipendenza da qualsiasi schieramento politico e confessionale, Campagne nazionali di sensibilizzazione, iniziative di solidarietà e progetti basati su un approccio di partenariato. opera come strumento di coordinamento politico culturale e progettuale, con l’obiettivo di promuovere una nuova cultura della solidarietà.