“Obiettivo: silenzio. La repressione globale contro le organizzazioni della società civile”
“Obiettivo: silenzio. La repressione globale contro le organizzazioni della società civile”
Il rapporto divulgativo di Amnesty International mette in luce la difficile situazione odierna delle organizzazioni della società civile e dei difensori dei diritti umani che hanno il coraggio di contestare le ingiustizie promosse da leggi e pratiche di governo. Sempre più spesso ONG e civili provenienti da tutto il mondo si trovano ad essere stigmatizzati, minacciati, sorvegliati e molestati, si vedono accusati e incarcerati in modo del tutto arbitrario. Difensori spesso vittime di aggressioni fisiche. Sono molti i nomi noti per essere stati uccisi – o fatti sparire – a causa della propria attività. È preoccupante, secondo Amnesty International, la tendenza che negli ultimi dieci anni sta muovendo molti stati del mondo ad introdurre leggi mirate che interferiscano con il diritto alla libertà di associazione e che ostacolino il lavoro delle ONG – leggi legate alle procedure di registrazione sempre più lunghe e costose, alla mancanza di chiarezza in merito a queste procedure, alla necessità di autorizzazione per operare. Solo negli ultimi due anni, sono stati 40 gli atti legislativi approvati, o prossimi ad esserlo, atti ad ostacolare le attività delle organizzazioni, consentendo alle autorità di sorvegliarle dal momento della creazione, allo svolgimento delle proprie attività e soprattutto nel momento di ricerca e fruizione dei finanziamenti. Sotto controllo anche le campagne di sensibilizzazione. Per poter comprendere meglio la situazione potremmo citare il caso pakistano che nell’ottobre del 2018 ha visto il Ministero dell’Interno respingere 18 domande – e i relativi ricorsi – da parte di 18 ONG senza fornire alcuna spiegazione. O ancora in Arabia Saudita dove il Governo ha il via libera nel negare la registrazione di nuove ONG o smantellare quelle già esistenti se ritenute dannose per l’unità nazionale. O il caso d’Egitto in cui le organizzazioni che ricevono fondi esteri sono obbligate a rispettare dei regolamenti stringenti e arbitrari. Molti operatori hanno visto il congelarsi dei propri conti bancari o sono stati processati rischiando fino a 25 anni di carcere. O ancora in Azerbaigian in cui vi sono molti casi di organizzazioni chiuse a causa di un mancato adeguamento alle nuove norme che riguardano la registrazione e la reportistica, mancato rispetto che comporta carcere e sanzioni gravi ai difensori dei diritti umani. In Russia, se l’ONG riceve fondi esteri viene etichettata come “agente straniero”, sinonimo di “spia” o peggio “traditore” – evento che ha causato un effetto a catena ed ha visto numerosi stati “copiare” il sistema come, tra i tanti, l’Ungheria.
Tutto questo fa si che continui ad estendersi l’errata retorica che vede l’altrocome un nemico da eliminare, alimentando nell’animo delle persone quei sentimenti di odio e di paura che vengono canalizzati verso gli immigrati o i gruppi minori considerati “diversi” – come i membri dei gruppi LGBT, le donne che appartengono ad associazioni che tutelano i propri diritti, ecc… – e quindi causa scatenante dei problemi del proprio paese. Questo comporta il manifestarsi di atti violenti spesso immotivati e soprattutto non consente un corretto svolgimento del lavoro agli operatori impegnati nella tutela dei diritti di tutti e per tutti.
Ciò che Amnesty International, attraverso l’esposizione delle dinamiche sempre più critiche e disagiate degli aiuti umanitari, chiede agli Stati è: di riaffermare il diritto di ogni persona, che sia essa singola o in associazione con altri, a difendere e promuovere i diritti umani secondo la Dichiarazione ONU; di legittimare esplicitamente le organizzazioni della società civile e i loro collaboratori nella difesa dei diritti umani, riconoscendone il duro lavoro e invitandoli ad abrogare tutte le leggi e i regolamenti che gravano inutilmente sul loro operato. Rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti i prigionieri di coscienza imprigionati per il solo fatto di aver esercitato in maniera pacifica i propri diritti di associazione e che nessuno venga più criminalizzato per questo. Prendere tutte le misure per assicurarsi che i gruppi marginalizzati siano in grado di esercitare liberamente il proprio diritto di associazione e che possano, conseguentemente, formare delle organizzazioni della società civile senza discriminazioni. Rimuovere ogni barriera di disuguaglianza legata al genere, alla provenienza o alla sessualità assicurandone, quindi, la capacità di esercitare il proprio diritto di associazione usufruendo del medesimo accesso alle risorse. Infine, chiede che venga riconosciuta pubblicamente l’importanza delle ONG e dei difensori dei diritti umani e il loro contributo al progresso dei diritti.
Questo è il terzo di una serie di rapporti della “Campagna Coraggio” di Amnesty International che documenta il giro di vite globale nei confronti di coloro che difendono e promuovono i diritti umani e promuove il riconoscimento e la tutela dei difensori dei diritti umani nel mondo.
L’immagine in evidenza è stata presa dal sito: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Amnesty_international_Logo.svg
Per maggiori informazioni: https://www.amnesty.it/rapporto-amnesty-international-lassalto-globale-alle-ong-raggiunto-livelli-crisi/