Il Censis fotografa l’Italia dell’incertezza: per il 69% mobilità sociale bloccata
ROMA – “Si chiude un decennio che, negli spazi vuoti d’iniziativa e di responsabilità collettive, lascia aperta la possibilità di rinnovamento e di nuovo sviluppo. È stato un tempo segnato dal rincorrersi di avvisi su una imminente frattura sociale, sul perdurare della crisi dell’occupazione e dei redditi, sulla perdita di tenuta delle istituzioni nazionali e locali, sulla fragilità del territorio e delle sue infrastrutture. Ma abbiamo visto in questi mesi l’accentuarsi di reazioni positive, di contrapposizione a una prospettiva di declino. La società italiana ha guardato a lungo inerte al cedimento delle sue strutture portanti. A questo cedimento, puntellando se stesso, ora il Paese sta cercando una soluzione. L’anno che si va chiudendo segna, infatti, l’inizio di un diverso modo di osservare l’orizzonte e rafforza l’impressione che l’adeguamento verso il basso non può proseguire senza limiti, senza porre argini o individuare punti di sostegno per frenare lo sgretolamento, per provare ad ancorarsi e tentare un cambio di direzione”. Queste le prime considerazioni del Censis, inserite nel 53° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2019.
Il “franare”, secondo il Censis, “è stato in parte interrotto grazie alla ricostruzione di alcune piastre di sostegno cui ancorare non una nuova fase di crescita, ma almeno un cambio di rotta”. Una prima piastra di sostegno è nella dimensione manifatturiera del nostro sistema produttivo e nella sua capacità di innovare e, almeno in parte, trainare la crescita. “Le nubi nere all’orizzonte dell’economia mondiale e le ipotesi di una nuova guerra dei dazi e delle valute alimentano tanti interrogativi sulla capacità di resistenza delle industrie italiane, ma non c’è dubbio che nell’arena internazionale il nostro Paese, con le sue fabbriche, esprime ancora un’idea forte di qualità e capacità competitiva”. Una seconda piastra di ancoraggio è nel consolidamento strutturale in alcune aree geografiche vaste del nostro Paese. La terza piastra “è la nuova sensibilità per i problemi del clima, della qualità ambientale e della tutela del territorio, anche in risposta a stimoli non solo interni. “Restano certo irrisolti i nostri problemi di fragilità strutturale dell’ambiente naturale e costruito, ma è fuor di dubbio che la speranza di provare a metterci mano muove a una spontanea e diffusa partecipazione”.
C’è poi una quarta ipotesi di piastra di ancoraggio, per quanto più incerta, la rimessa in circuito del risparmio privato. “La liquidità disponibile delle famiglie ha permesso una sostanziale tenuta sociale, a fronte di risorse pubbliche sempre meno adeguate e meno efficienti”. Un’ultima piastra di sostegno la si vede nella dimensione europea: “sempre meno si addossano ai processi di convergenza europea le responsabilità delle difficoltà nazionali e locali, e sempre più si alimenta il dibattito sulla capacità delle istituzioni comunitarie di rinnovare contenuti e mezzi dello sviluppo”.
E la politica? “I limiti della politica attuale sono nella rassegnazione a non decidere. Tante, troppe riforme strutturali sono state annunciate, ma mai concretamente avviate: nella scuola, nella giustizia, nella sanità, nella fiscalità, nel quadro istituzionale – afferma il Censis -. Lo scenario nel quale ci muoviamo è affollato da non decisioni: sul contenimento della pressione migratoria, sulla digitalizzazione, sulla politica tributaria, sulle concessioni e sui lavori per le grandi infrastrutture di rete, sui servizi idrici o per i rifiuti, sulla collocazione delle scorie nucleari. Non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito se stessa”.
Il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata
Per il Censis, il furore di vivere degli italiani ha vinto su tutto. Sfuggiti a fatica al mulinello della crisi, adesso l’incertezza è lo stato d’animo con cui il 69% degli italiani guarda al futuro, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista. Ma come siamo arrivati a questo punto? “Gli italiani avevano dovuto prima metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di autotutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato. Poi avevano dovuto fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sè anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale. Anche perché la nuova occupazione creata negli ultimi anni è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi”. Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Infine, gli italiani hanno dovuto rinunciare perfino ai due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone e i Bot, “di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e a titoli di Stato dai rendimenti infinitesimali”.
Cala la ricchezza immobiliare delle famiglie. Gli stratagemmi individuali
Mattone e Bot erano inscritti nel codice genetico degli italiani: erano gli strumenti che rispondevano materialmente alla domanda sociale di futuro, il veicolo per salire verso livelli più alti di benessere. Ma oggi è cambiata la percezione sociale della proprietà immobiliare, considerata un costo più che un investimento.
Dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6% in termini reali. E il 61% degli italiani non comprerebbe più i Bot, visti i rendimenti microscopici. Venuti meno i pilastri del modello tradizionale di sviluppo, agli italiani non è arrivata però l’offerta di percorrere insieme nuovi sentieri di crescita per costruire il futuro. Anzi, secondo il 74% nei prossimi anni l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione, e il 26% è sicuro che è in arrivo una nuova recessione. “Contando di fatto solo sulle proprie forze, gli italiani hanno quindi messo in campo stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro – afferma il Censis -, in una solitaria difesa di se stessi, in assenza di grandi strategie da generali d’armata, di certo non avvistati all’orizzonte in questi anni. Hanno cercato di porre una diga per arrestare la frana verso il basso. La loro reazione vitale ha generato una formidabile resilienza opportunistica, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali, a dispetto di proclami pubblici e decreti: il severo scrutinio nei consumi, il cash accumulato in chiave difensiva, anche il ‘nero’ di sopravvivenza. Così non si è fermata la corsa alla liquidità: +33,6% di contante e depositi bancari nel decennio 2008-2018 (contro il -0,4% delle attività finanziarie complessive delle famiglie). È il segno di un legame profondo con il contante che rinvia alle sue valenze psicologiche, oltre che funzionali”.
Una società stressata. Sale il consumo di ansiolitici e sedativi
Nell’eccezionale cambiamento epocale, condensato in pochissimi anni, il furore di vivere degli italiani li ha riportati tenacemente ai loro stratagemmi individuali. Lo stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro, si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico. Nel corso dell’anno il 74% degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari, per il lavoro o senza un motivo preciso. Al 55% è capitato talvolta di parlare da solo (in auto, in casa). E secondo il 69% l’Italia è ormai un Paese in stato d’ansia (il dato sale al 76% tra chi appartiene al ceto popolare). Del resto, nel giro di tre anni (2015- 2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800 mila di più di tre anni fa). Disillusione, stress esistenziale e ansia originano un virus che si annida nelle pieghe della società: la sfiducia. Il 75% degli italiani non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso dell’anno una prepotenza in un luogo pubblico (insulti, spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.
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