I volontari in servizio civile quest’anno (4)
Alessia Manucci (Progetto Cisi-EDU, Senegal: “Tutti a scuola a Pikine est”)
OSSERVARE, COMPRENDERE, AGIRE
“È questo il momento giusto per me e non me ne sono pentita” afferma Alessia, 23 anni, di Firenze. Il suo sguardo rispecchia la sua determinazione, grazie alla quale sta costruendo un percorso di vita deciso e limpido. I suoi occhi sono attenti, fermi, come quelli di un gatto. Attenta per imparare, per usare le giuste parole, per scoprire posti nuovi. Ci siamo incontrate il giorno del colloquio, oggi sono felice di conoscerla meglio e che sia nel mio progetto, so già che potremo contare l’una sull’altra.
Di dove sei?
Sono di Scandicci, in provincia di Firenze.
Qual è il posto che vorresti visitare più di tutti al mondo?
Non ho priorità. Piano piano vorrei vedere un po’ tutto. Mi affascina ciò che non conosco.
Chi è il tuo modello di comportamento?
I miei genitori e mia sorella grande. È grazie a loro se sono la persona di oggi.
Qual è stato il tuo percorso dopo esserti diplomata?
Dopo il mio diploma di Scienze umane, il mio interesse principale verteva sull’antropologia, sulla sociologia e sul diritto, così ho scelto un’università che mirava a formarmi come assistente sociale e mi sono laureata con una tesi dal titolo: “L’identità maltrattata delle donne vittime di sfruttamento sessuale”. Mi ha sempre colpito tutto ciò che riguarda l’identità e le storie di vita delle persone. Infatti, la mia tesi era centrata sul percorso di queste donne e sugli elementi che incidono sulla loro identità: famiglia, luogo d’origine, il rapporto con lo sfruttatore e il loro vivere all’interno della nostra società. Per la stesura dell’ultimo capitolo, ho intervistato gli operatori che lavorano con le donne vittime di tratta, comparando associazioni laiche e religiose. Durante queste interviste, ho avuto la fortuna di incontrare degli assistenti sociali di Prato, che mi hanno chiesto di lavorare con loro in una struttura che accoglie donne e bambini. Nel frattempo mi sono abilitata come assistente sociale ed ho lavorato fino a qualche giorno fa.
Cosa ti ha appassionato a questo tema?
Ho notato come questo fenomeno fosse molto stigmatizzato, nella mia università non se ne parlava e di conseguenza non se ne sapeva molto. Durante quel tirocinio ho conosciuto una ragazza della mia età e la sua storia mi ha colpito molto, da lì è partito tutto.
Hai sensibilizzato anche le persone a te care riguardo questo argomento?
Sì, ne ho parlato. Sono storie molto forti e c’è stata una reazione generale di compassione che mi ha in parte infastidita, perché dispiacersene e basta non porta a soluzioni. Tuttavia, nel mio piccolo, spero di aver sensibilizzato anche solo con l’informazione.
Cosa hai amato di più del tuo lavoro? Quali difficoltà ci sono state invece?
Innanzitutto, il solo fatto di aver scoperto qualcosa che non conoscevo: la loro cultura e come interagiscono fra di loro e con i figli. Ho imparato ad apprezzare la loro gioia, cantano, ballano e la trasmettono a me. Ma ci sono anche tanti limiti e all’inizio è dura riuscire a mediare tra due culture diverse, bisogna in primis lavorare su sé stessi e cercare di aprirsi verso altre mentalità. Inoltre, durante la mia esperienza lavorativa, essendoci questa particolarità di essere una casa madre-bambino, sono stata a contatto con i figli delle donne ospitate, piccolissimi, e lavorare con i bambini per me è gioia. Quando loro ti sorridono, anche se tu magari sei triste, che sia per queste storie difficili o altri problemi, loro ti scaldano il cuore. Diventava un piacere andare a lavorare.
Quanto è importante la competizione per te?
La competizione è importante solo se assume un valore positivo, ovvero quando non è aggressiva verso gli altri, ma è rivolta esclusivamente su di te, per farti raggiungere il massimo.
Credi che questa esperienza lavorativa ti abbia resa pronta per l’avventura con il Servizio Civile?
No, però sicuramente serve, come anche il mio percorso di studi. Mi ha aiutato a ragionare sulle cose, a comprendere, ad osservare e a confrontarmi con altre persone. In realtà, avrei voluto fare il Servizio Civile universale subito dopo la maturità, però ad oggi sono contenta di aver aspettato.
Come hanno reagito la tua famiglia e i tuoi amici alla notizia della tua partenza?
La mia famiglia è sempre stata a conoscenza di questo mio sogno nel cassetto, anche se non avrebbe mai pensato che poi l’avrei fatto realmente. Così ho cercato di far conoscere loro il progetto, per provare ad abbattere un po’ quei preconcetti che nascono dalla scarsa conoscenza di questo mondo. In ogni caso, nonostante siano un po’ preoccupati, sono orgogliosi di me. Dai miei amici, invece, ho ricevuto davvero tanti complimenti che non mi aspettavo affatto, sono molto appoggiata da loro e mi fa tanto piacere.
Cosa ti ha spinta a lasciare il tuo lavoro per partire?
Credo che il Servizio Civile sia un’esperienza da cogliere. Personalmente,è questo il momento giusto per me e non me ne sono pentita.
A cura di Iolanda Santoliquido
Luigi Iossa (Progetto Edu-dac, Senegal: “Salute: stop malaria e consultorio femminile a pikine est”)
IL MONDO COME CASA, LA CASA NEL CUORE
Ho intervistato Luigi e l’ho trovato un ragazzo molto simpatico, solare ed espansivo. Parlandoci, mi hanno colpito il grado di coinvolgimento nelle tematiche a lui care, la disponibilità a rendersi utile e la sua grande voglia di viaggiare e vedere il mondo che lo caratterizza.
Per iniziare, parlami un po’ di chi sei e della tua famiglia.
Mi chiamo Luigi Iossa, ho 26 anni e vengo da Napoli. Ho due sorelle, una più grande e una più piccola di me. La più grande vive ad Udine e fa l’infermiera, mentre la più piccola ha 23 anni e lavora a Napoli. Vivo in casa con mio padre, mia madre, mia sorella minore e mia nonna, a cui sono molto affezionato. Chi mi mancherà di più sarà sicuramente lei.
Qual è il tuo percorso di studi, partendo dal liceo?
Ho frequentato e mi sono diplomato al liceo scientifico. Dopo di che ho deciso di prendermi un anno sabbatico perché non sapevo effettivamente cosa volessi fare. Inizialmente mi ero iscritto a biologia, dando anche i primi esami, però non trovavo questo indirizzo di studi molto stimolante e quindi ho deciso di prendermi del tempo. Ho iniziato a viaggiare, a dedicare del tempo a me stesso. Poi ho deciso di iscrivermi a scienze politiche e relazioni internazionali all’Orientale di Napoli. È stata una scelta mirata, soprattutto per l’ateneo, perché è molto aperto ed è stata la cosa che più mi ha colpito. Ha inciso molto il fatto che si studiassero materie che non venivano affrontate in altri atenei. Per esempio, alla Federico II di Napoli, la più famosa, molte materie riguardanti Asia o Africa non erano per nulla toccate.
Parlami delle tue esperienze all’estero.
Ho viaggiato in lungo e in largo per tutta l’Europa. Verso maggio 2019 sono stato selezionato per un progetto in Tanzania sull’inclusione sociale della donna. Da lì è nata la mia curiosità verso la cooperazione internazionale. Inoltre, ho conosciuto una persona che mi ha indirizzato verso il servizio civile universale perché lo aveva già fatto qualche anno prima in Sud America. Quindi ho colto l’occasione per farlo quest’anno, ho fatto domanda e per fortuna è andata bene.
Quindi non sei venuto a conoscenza del servizio civile universale tramite il circuito universitario?
No. Conoscevo il servizio civile classico, fatto al comune, dove fai l’impiegato, l’assistente, fai le fotocopie. Da questa ragazza, invece, ho appreso che si potesse fare anche all’estero, così ho iniziato ad informarmi in rete. Mi sono iscritto al gruppo Facebook “Cooperanti si diventa”, a cui penso siano iscritti in molti. È un gruppo molto grande, su cui un giorno comparse un post sul servizio civile del CIPSI. Lessi il bando e il progetto, sembrava una cosa molto seria, così decisi di fare domanda.
Qual è il progetto e perché lo hai scelto?
Il progetto si chiama “Salute: stop malaria e consultorio femminile a Pikine Est”. Ho scelto questo progetto perché lo avevo visto in quel gruppo su Facebook. Leggendo il programma e le specifiche mi era piaciuto. In più mi sono documentato sui siti degli enti coinvolti, come Diritti al cuore ed Energia per i diritti umani, con cui partiremo. Questo progetto è già avviato e molto serio. La ragazza che me ne aveva parlato mi aveva detto di controllare bene gli enti perché lei, in un caso, non si era trovata bene. Comunque mi ha caldamente consigliato di fare questa esperienza perché ti cambia la vita. Inoltre, il Senegal mi è sempre piaciuto grazie, soprattutto, ad un professore di francese di origine senegalese, di ci seguivo un corso all’università. È anche un’occasione per imparare meglio la lingua dopo la mia esperienza in Erasmus in Belgio nel 2016. Di conseguenza ho fatto domanda e sono molto contento che sia andata bene.
Parlami della tua esperienza in Erasmus.
Ho fatto un Erasmus in Belgio nel 2016. Si trattava di un Erasmus traineeship, in cui ho fatto tirocinio per quattro mesi all’Università di Liegi, nel centro di ricerca sugli immigrati che si chiama CEDEM. Era un periodo di ricerca sugli immigrati in entrata e uscita dall’Europa, nello specifico in Belgio. È stata un’esperienza stimolante per capire cosa fosse ricerca.
Nell’ambito della cooperazione, hai interesse a lavorare solo in Africa o anche in altri continenti?
Sono un amante dei viaggi, quindi viaggerei un po’ ovunque. Anche in luoghi meno esplorati, meno turistici. Quindi se si prospettasse l’opportunità di andare in altri paesi al di fuori dell’Africa ci andrei molto volentieri. È normale che ci siano delle propensioni verso paesi come l’India che, non ti nego, mi piacerebbe poter visitare e magari lavorarci. Anche, ad esempio, in Nepal, o nei paesi del Sud America, senza essere specifico. Un po’ tutti insomma.
In futuro vorresti lavorare nell’ambito previsto dal tuo progetto in Senegal o anche altri?
Mi piacerebbe poter lavorare nell’ambito del progetto in Senegal ma anche, sicuramente, in altri ambiti, soprattutto a contatto con le donne e i bambini. Principalmente per i loro diritti.
Perché le donne e i bambini?
In casa sono sempre stato circondato da donne, e già solo vivere la situazione del patriarcato in Italia mi infastidisce. Quindi vorrei contribuire, aiutando nel mio piccolo chi posso e impegnandomi per l’estensione dei diritti delle donne. È una cosa che mi piacerebbe molto, anche se sono consapevole che sia un lavoro molto complesso da fare, soprattutto nel breve periodo. Nel caso dei bambini, li adoro. Inoltre, non hanno colpe, sono innocenti e spesso sono quelli che subiscono le conseguenze peggiori senza aver fatto nulla e senza poterci fare nulla.
A cura di Enrico Ilaros Majerna
Luca Vento (Progetto CIPSI-EDU, Senegal: “Tutti a scuola a Pikine Est”)
DALLA PARTE DEI VULNERABILI
Luca è un ragazzo serio, determinato ed empatico. Ha fatto varie esperienze all’estero e non ha mai dimenticato di dare voce alla sua passione: ascoltare ed essere a contatto con i più vulnerabili. È questo che spera di poter fare nel suo anno di servizio civile.
Ciao Luca, parlaci di te.
Sono Luca Vento, vengo da Messina e ho 23 anni. Dopo aver terminato il liceo classico, mi sono preso un anno sabbatico per fare un’esperienza all’estero, ma anche per decidere meglio cosa fare dal punto di vista universitario. Sono stato 8 mesi a Londra, nei primi cinque ho seguito due corsi di inglese, perché volevo iscrivermi a psicologia nel Regno Unito. Poi ho cambiato idea e gli ultimi due mesi ho lavorato nella ristorazione e contemporaneamente mi sono dedicato ad attività di volontariato. Tornato in Italia mi sono iscritto alla facoltà di “Sviluppo e cooperazione internazionale” a Bologna.
In che ambito hai svolto il periodo di volontariato a Londra? Cosa ti sei portato a casa da quell’esperienza?
Sono stato volontario in un centro d’ausilio ai senzatetto, due volte a settimana per tre mesi. Ho cominciato ad imparare cosa significhi stare a contatto con persone in condizioni di vulnerabilità sociale. Mi occupavo della preparazione e somministrazione dei pasti. E nel tempo rimanente cercavo di portare un po’ di sostegno, anche solo fermandomi a parlare con loro. È questo l’aspetto che mi è piaciuto di più e che vorrei approfondire durante il mio anno di Servizio Civile.
Hai fatto altre esperienze all’estero?
Sì, durante il primo anno di studi ho fatto richiesta per poter partire per l’Erasmus. Sono stato preso e ho trascorso il secondo anno della triennale in Spagna, a Siviglia. Il terzo anno invece ho studiato sei mesi all’università di Belo Horizonte in Brasile.
Cosa pensi di aver imparato in queste esperienze all’estero?
Penso innanzitutto di avere migliorato la mia autonomia. Questo soprattutto nella prima esperienza a Londra, in cui sono partito da solo e c’è stato un grande distacco da casa. Il primo momento è stato difficile e da quella esperienza ho imparato ad affrontare più serenamente le esperienze successive. Inoltre, credo di aver ampliato i miei orizzonti culturali e le capacità relazionali. Credo che allontanarsi dalla propria “confort zone” non può fare che bene alla propria crescita personale. Nel senso di imparare a contare sulle proprie forze. Infine credo che sia stato davvero importante, anche per la mia formazione, imparare lingue nuove e capire i vari aspetti delle società con cui mi sono trovato a interagire.
Ti spaventa stare un intero anno lontano da casa?
No, non mi spaventa, ma sono consapevole che tutte le esperienze riservano qualcosa di sconosciuto. Una piccola paura è normale, soprattutto prima della partenza, ì ma bisogna imparare a saperla gestire. Anche dal punto di vista relazionale sono abbastanza tranquillo.
La tua idea di cooperazione è cambiata nel corso dei tuoi studi? Se sì, cosa ne pensavi prima e cosa ne pensi ora?
Sì. Innanzitutto non avendo mai fatto esperienze sul campo non mi ritengo un grande esperto. Tuttavia, durante la triennale ho studiato “Sociologia dello sviluppo” e tra il materiale didattico c’era un libro che mi ha colpito molto, di un autore che tra l’altro incontreremo nei prossimi giorni. Si chiama Luciano Carrino, ha scritto “Perle, pirati e sognatori” in cui spiega quali possono essere i cattivi approcci nella cooperazione. Parla soprattutto di centralismo e assistenzialismo, prediligendo un approccio che coinvolga entrambe le parti. Non mi piace l’atteggiamento assistenziale che mira a voler imporre la propria cultura e la propria organizzazione. Sono più per un approccio che miri soprattutto a capire quali sono le esigenze della popolazione locale e a fare concordare tutte le parti. È con questa modalità che si riescono ad avere risultati più incisivi.
Perché hai scelto di fare il servizio civile e perché proprio in Africa?
Perché volevo fare un’esperienza di vita, vivere in Africa e stare a contatto con situazioni di vulnerabilità sociale. Ma anche per conoscere meglio il mondo della cooperazione, capire come si svolge un progetto e orientarmi sulle mie future scelte lavorative, per capire se possono essere indirizzate in questo senso o in un altro. Ho scelto l’Africa perché sono da sempre stato curioso di viverci. E anche perché potrei in futuro avere ancora più consapevolezza di quanto siamo fortunati nell’essere nati in una certa parte del mondo e in certe condizioni. In relazione a questo mi sento in dovere di fare, nel mio piccolo, quello che posso per persone che sono nate in condizioni molto diverse dalle mie.
a cura di Simona Gabrielli
Lucia Smeralda Campo (Progetto AMU-AFN: “Promuovere la cittadinanza globale dei giovani)
RADICI PROFONDE, TESTA FRA LE NUVOLE ED UN CUORE CHE VIAGGIA
Lucia mi guarda con i suoi occhi grandi ed attenti. Il suo sguardo mi fa capire che non vuole perdersi nemmeno un particolare di quello che ci diremo. Una ragazza con una profonda sete di conoscenza, non solo di altri mondi e di culture, ma soprattutto di sé stessa.
Partiamo dall’ origine?
In che senso?
Parliamo del tuo punto di inizio e delle tue origini.
Molto semplice. Sono nata a Messina, cresciuta a Messina e i miei genitori sono entrambi italiani. Mia mamma è calabrese mentre mio padre è siciliano.
Perché devi specificare che i tuoi sono italiani?
Perché molto spesso le persone mi hanno chiesto di che nazionalità fossi, pensando appunto che non fossi italiana. Ormai non lo do più per scontato.
E come biasimarla? Ha dietro di sé una storia tutta multiculturale. Attaccata alle sue radici, ma con i suoi rami raggiuge mille mondi.
Ho vissuto per molti anni a Venezia, dove ho avuto l’opportunità di studiare lingue orientali. In particolare sono entrata in contatto con la cultura cinese, la lingua, la letteratura, un po’ tutto insomma!
Hai sempre sognato di avvicinarti alla cultura cinese? Cosa sognavi da bambina? Troveresti un filo conduttore tra il tuo sogno nel cassetto di bambina e ciò che ti ha condotto fino qui?
In effetti questo è un aspetto che non ho del tutto chiaro ancora, ma diciamo che ho trovato il mio filo conduttore. Il primo ricordo che ho di quello che da piccola volevo fare “da grande” è l’astronauta. Finché poi con la mutabilità tipica di tutti i bambini, ho sviluppato una nuova passione, quella di esplorare il mondo degli animali. Allora avevo deciso che “da grande” avrei fatto l’etologa per poter studiare da vicino il comportamento degli animali. Credo che ciò che mi spingeva era sempre il mio interesse per l’esplorare altri mondi. Finché non ho intravisto la possibilità di approfondire una cultura, un mondo completamente diverso dal nostro, da quello occidentale. Dal voler esplorare la luna come una piccola astronauta o dal voler capire il mondo animale sono arrivata a voler interpretare un mondo che, in qualche modo, è comunque molto diverso dal nostro. Oltretutto mi è sempre piaciuto moltissimo viaggiare. Quando da piccola mi si chiedeva qual era il posto in cui mi avrebbe fatto piacere andare io rispondevo “nel posto piu lontano del mondo!”.
Cosa hai scoperto di prezioso nel tuo avvicinamento al mondo orientale?
Ho ritrovato nel mondo orientale delle richezze, molto difficili da comprendere, alle quali spesso noi occidentali ci rapportiamo con un senso di superiorità. La cultura orientale ha avuto l’abilità di adattarsi a un mondo predominato dalla visione occidentale, e allo stesso tempo a preservare alcuni caratteri identitari molto forti: questo è un grande valore che molti non sono ancora riusciti a comprendere.
Che cosa ti appasiona di piu di questo incontro interculturale?
Penso che riassumendo potrei individuare due parole chiave che possano descrivere questo incontro: contaminazione e interazione. Che poi è anche l’atteggiamento col quale vorrei vivere la mia partecipazione al Servizio Civile, quello dell’apertura, della valorizzazione della diversità e del superamento della paura.
E come sei arrivata fino a qui?
Lo scorso autunno avevo provato ad andare in Cina per un lavoro in una scuola, ma alcune cose burocratiche non sono andate a buon fine e allora ricalcolando il mio percorso mi sono chiesta cosa potessi fare all’interno di un ambito, quello interculturale, che mi appassiona da tempo e di cui mi piacerebbe acquistare maggiori competenze. Ho visto che era ancora aperto il bando del servizio civile e il progetto specifico che ho scelto mi sembrava particolarmente adatto, perché permette di sviluppare competenze nel campo dell’interculturalità attraverso l’educazione alla cittadinanza globale e all’interculturalità, quindi da una prospettiva diversa rispetto a quella a cui solitamente ero abituata.
Cosa pensi di poter dare tu come volontario?
È difficile rispondere a questa domanda. Non mi è ancora chiaro quali sono le competenze specifiche acquisite da mettere a servizio, ma sono sicura di poter contribuire a promuovere quei valori di integrazione ed interculturalità che già condivido con l’associazione con cui lavorerò. Inoltre metterò tutta la mia passione per questo ambito e cercherò il più possibile di calarmi nel contesto, cercando di approfondire le tematiche e non fermarmi alla superficie.
C’è qualcosa che hai sempre voluto fare ma che non hai ancora fatto? E quali sono i tuoi prossimi progetti?
Ho sempre voluto fare un corso di arrampicata, ma mi sono sempre mancati il luogo e le tempistiche giuste. Da piccola facevo judo a livello agonistico ed ero anche brava!
Posso dire che questa dimensione dello sport, che con gli anni ho un po’ perso, mi manca. Ho intenzione, appena ne avrò la possibilità, di sperimentare un corso di arrampicata e di fare varie escursioni in natura.
Come ti immagini tra un anno?
Immagino di essere ancora più me stessa, nel senso di scoprire più cose di me e nel concreto su quale direzione puntare in ambito lavorativo, verso una più completa autonomia e conoscenza di me stessa. Spero che il servizio civile mi aiuterà soprattutto in questo. E sicuramente mi piacerebbe anche riprendere in mano tutte le cose che ancora voglio fare e che forse ho trascurato con lo studio e tutti i vari “esperimenti” che ho fatto negli ultimi anni.
In fondo che cos’è la vita se non un insieme di esperimenti, tra cui quelli giusti ma anche alcuni sbagliati. Dimmi una cosa per cui sei orgogliosa.
Aver avuto la possibilità di viaggiare e di conoscere culture diverse. Di aver appreso “il dialogo” con chi è diverso da me.
C’è una cosa che non ti ho chiesto ma che avresti voluto che ti chiedessi?
Non mi hai chiesto qual è adesso il mio sogno. In realtà però con questa domanda forse mi taglio le gambe da sola, perché è una domanda non solo molto difficile ma anche molto personale e alla quale non ho ancora una chiara risposta. In realtà se per sogno si intende un’ambizione lavorativa, allora non ne ho una chiaramente definita, ma rimane il forte desiderio di lasciare un segno in qualunque cosa realizzerò. La mia piccola parte, che possa essere un contributo per un mondo milgliore.
Come pensi che le altre persone ti percepiscano?
Credo che in teoria non dovrebbe essere importante.
Ma è inevitabile non pensarci o non considerarlo, no?
Penso che gli altri mi vedano come una personba in gamba, ma a volte insicura. Una donna che ha ancora bisogno di capire chi è. Una persona positiva, fra le nuvole, una sognatrice insomma.
E hanno ragione?
Sì.
a cura di Camilla Ramezzano
Stefania Sharley (Progetto CIAI, Cambogia: “I diritti dell’infanzia vulnerabile in Cambogia”)
UNA VOLONTARIA SPINTA DAL DESIDERIO DI MUTICULTURALITA’
Stefania ha 26 anni ed è una volontaria del Servizio Civile Universale. È nata a Milano in una famiglia multiculturale, da papà inglese e madre italiana. In questi giorni di formazione generale ho avuto l’occasione di parlare spesso con lei e ho scoperto una persona empatica, incline all’ascolto e dal tono di voce rassicurante. Le sue parole tramettono positività e nel rispondere alle mie domande è fuoriuscita tanta determinazione e voglia di fare.
Com’è stato crescere in una famiglia multiculturale?
Beh senz’altro è stato bello, mi ha permesso fin da bambina di conoscere un’altra lingua e di aprirmi con più facilità al mondo esterno. Forse è proprio per questo che ho sentito il contesto milanese troppo provinciale ed ho sentito poi l’esigenza di allontanarmi. Finiti gli studi superiori ho deciso di trasferirmi in Inghilterra per iniziare l’università. Questa esperienza mi ha permesso di riavvicinarmi alla cultura inglese e fare emergere in me il senso di appartenenza ad entrambe le culture, sia a quella italiana che a quella inglese, e di questo sono molto fiera.
Parlami della tua carriera accademica.
Mi sono diplomata al liceo scientifico e fin da allora ho trovato molto interessanti sia la filosofia che la biologia. Per questo che ho scelto poi di studiare psicologia, che racchiude entrambi gli ambiti.
Ho conseguito la laurea triennale in psicologia in Inghilterra e quella magistrale in psicologia dello sviluppo e dei processi educativi a Milano. Nei paesi anglosassoni, l’approccio alla psicologia è più di tipo cognitivo-comportamentale, mentre in Italia persiste più una tradizione psicodinamica. La scelta di affrontare parte del percorso in un paese diverso dall’Italia, mi ha permesso di sviluppare un approccio critico alla materia e alla fine dei miei studi sono riuscita ad apprezzare entrambi i punti di vista.
Perché hai scelto il Servizio Civile Universale?
Perché sentivo l’esigenza di fare un’esperienza di volontariato all’estero che avesse una certa durata, nella speranza di contribuire, seppur nel mio piccolo, ad aiutare le persone realmente bisognose. Ho scelto il progetto all’estero perché ero desiderosa di conoscere una cultura diversa dalla nostra, spinta dai valori che mi hanno trasmesso i miei genitori.
Sei già entrata in contatto con il mondo del volontariato?
Sì, ho svolto un servizio di volontariato in Inghilterra nelle vicinanze di Londra, per circa un anno. Mi sono occupata di tutoraggio ai minori richiedenti asilo. È in quell’occasione che ho capito di voler lavorare in questo mondo, perché è stata un’esperienza che mi ha lasciato tanto. In Italia, ho svolto un tirocinio presso l’associazione CIAI e successivamente presso una cooperativa che lavora con famiglie di migranti a Milano.
Parlami del progetto che hai scelto.
Ho scelto questo progetto perché, avendo studiato in magistrale psicologia dello sviluppo, mi è sembrato subito interessante. Ero desiderosa di sperimentare un approccio sociale alle problematiche legate all’infanzia. Personalmente, mi piace molto lavorare con i bambini, perché ti danno tanto, sono pieni di energia e creatività e trovandosi in una fase di crescita è più facile promuovere un cambiamento.
Inoltre, credo che questo progetto possa rappresentare un miglioramento delle mie conoscenze pregresse e un’occasione per sviluppare il mio senso di decentramento culturale: la capacità di l’immergersi completamente in un contesto nuovo superando alcuni retaggi culturali europei.
Cosa ti aspetti da questa esperienza?
Credo che, dopo il forte impatto iniziale, sarà bello vivere in un paese con una cultura differente dalla nostra. Soprattutto, sarà un’occasione di crescita personale. Sono sicura che dopo l’esperienza come volontaria del Servizio Civile Universale tornerò con una visione del mondo differente da quella che ho ora.
a cura di Indira Merlini
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