domenica, Giugno 30, 2024
(in evidenza)Notizie dal Cipsiservizio civile

I volontari in servizio civile quest’anno si presentano (1)

Pubblichiamo a seguire e nei prossimi post le storie di vita dei volontari in Servizio Civile Universale con il CIPSI capofila quest’anno, sia all’estero che in Italia. I sogni, il tempo libero, gli studi e il modo di essere di questi giovani che hanno scelto di dedicare un anno al sociale ci fanno ben sperare per l’Italia del futuro. Una bella generazione.

Iolanda Santoliquido (Progetto CIPSI-EDU, Senegal: “Tutti a scuola a Pikine est”)

LA “BUONA CAUSA” DI IOLANDA

Giovane lucana impegnata per il sociale, Iolanda è in prima linea pronta ad abbattere pregiudizi e stereotipi ammaliando tutti con il suo sorriso. Sorriso che letteralmente l’ha fatta partire per la prima volta in Africa dove ha scoperto sé stessa e quello che vuole fare del suo futuro. Occhio a quei capelli corti, la loro storia fa emozionare.

Iolanda, raccontami un po’ chi sei e qual è la realtà in cui vivi.

Sono Iolanda, 20 anni, lucana. Vengo da un paese che si chiama Rionero in Vulture, una piccola realtà di 14 mila abitanti dove l’aria che si respira è un mix di rassegnazione e tanta voglia di fare. Mi spiego meglio: per quanto una piccola realtà possa proteggerti ed essere “accogliente” è anche una “gabbia” che ti limita e questo purtroppo può incrementare, nell’immaginario collettivo, pregiudizi e stereotipi. Fortunatamente però ci siamo noi giovani. In realtà non è facile. I giovani del sud sono “costretti” a partire e nessuno dovrebbe sentirsi costretto. Infatti anche se vuoi lavorare nella tua terra devi allontanarti per formarti. Se ci pensi vale lo stesso per molti migranti che per avere un’opportunità devono andarsene dai loro paesi. In ogni caso noi giovani che restiamo ci rimbocchiamo le maniche, cerchiamo di non adattarci passivamente, combattendo per favorire un clima di integrazione e uguaglianza. Personalmente ho preso parte, come volontaria, alla progettazione attuata dal circolo ARCI di Rionero che si occupa di tre interventi per SPRAR minori, adulti e CAS, quindi nell’ambito dell’accoglienza. Molti dei miei coetanei hanno aderito a queste iniziative e aiutano in maniera volontaria l’organizzazione. Tra l’altro, da nemmeno un anno è stato aperto un circolo che ha valore ricreativo-culturale. È sia un semplice bar che un posto di integrazione e socializzazione: una volta c’è la serata a tema africano, un’altra volta la serata di musica dal vivo. Mi piace pensare che i giovani migranti possano uscire di casa e trovare un luogo di condivisione, anche solo per fare una bevuta e scambiare una parola. Questo è stato fatto proprio per unire due culture, per unirci ancora di più.

Raccontami le tue esperienze all’estero, sei mai stata in Africa?

Per quel che riguarda l’Europa sono stata in Francia. Ho partecipato ad un gemellaggio e sono stata ospitata da una famiglia francese. Non a caso dopo il diploma ho deciso di fare un corso specializzante che mi portasse alla preparazione del DALF C1 di francese. Mentre preparavo questo esame ho deciso, un po’ per caso, di partecipare ad una campagna promossa dall’ associazione Amref. Ho letto il loro progetto e subito mi ha suscitato interesse. Ciò che mi ha colpito è stata l’idea che credo si trovi alla base di questa campagna, ovvero di pubblicare un sorriso contro ogni tipo di pregiudizio, quindi di usare uno strumento di pace e serenità contro uno dei sentimenti d’odio più radicati, il razzismo, come a sottolineare che è con l’amore che si combatte il male. Un mese dopo ho saputo di aver vinto e ho focalizzato il mio interesse su questa partenza. In realtà avevo già maturato l’idea di partire per il servizio civile universale, è stata come una sorta continuazione di eventi verso l’Africa. Sono quindi partita per l’Etiopia. È stata molto stimolante soprattutto perché mi ha portato a conoscere una cultura diversa. Per alcuni aspetti l’Africa è stata come me l’aspettavo: un paese accogliente. Mi sono trovata bene fin da subito, e anche se solo per una settimana ci avevo quasi fatto l’abitudine, non volevo tornare a casa! È stata un’esperienza significativa sia per un mio percorso personale che professionale. Ho capito che la mia ambizione è quella di lavorare per il terzo settore, in particolare nei centri d’accoglienza.

Come ti immagini questa nuova esperienza di servizio civile universale?

Questa nuova esperienza in Senegal per me è un’incognita. Sicuramente la durata dell’esperienza (undici mesi lontana da casa) avrà un forte impatto sulla mia persona. Dovrò confrontarmi con una cultura diversa: posti nuovi, cibi nuovi, clima nuovo, persone nuove. Non sarà sempre facile, però quando decidi di partire per così tanto tempo ci deve essere alla base una certa determinazione. Grazie già a questa prima fase di formazione generale sto conoscendo i ragazzi che partiranno come me, ci confrontiamo e pian piano impariamo a conoscerci. Penso che ne verrà fuori qualcosa di bello.

Hai un taglio di capelli inusuale: è una scelta estetica o c’è una motivazione specifica?

Diciamo che è partita come una scelta estetica.  Mentre ero su internet ho trovato la foto di una ragazza con questo taglio di capelli molto corto. Mi è piaciuto fin da subito, anche se nella mia testa pensavo “se avessi il suo stesso viso lo farei anche io”. Poi in realtà ho affrontato un percorso di autostima e sicurezza, sono cresciuta e ho imparato pian piano ad apprezzarmi. Ho tagliato i capelli a Novembre 2018. Non è stato facile tagliarli. All’inizio cercavo dei compromessi: “se passo l’esame di francese me li taglio”. La voglia di farlo c’era, ma la vera spinta è stata l’idea di poterli donare. Quindi si, è partita come una scelta estetica ma poi è diventata anche una scelta ideologia in quanto solitamente l’ideale di bellezza si rispecchia nella donna con i capelli lunghi. I miei capelli sono stati donati a una ONLUS di Roma: la modalità della donazione era scrivere una dedica alla ricevente e lasciare il proprio indirizzo email. Nella lettera che le ho inviato ho scritto che solitamente usavo i capelli lunghi per nascondermi, per evitare gli sguardi, per coprirmi il volto. Volevo liberarmi da tutto ciò. Quindi sì, ho fatto una buona azione ma in realtà è stata la ricevente la buona causa che mi ha dato la forza di fare questo passo così importante per me. Ripensando alla risposta della ricevente mi emoziono ancora: “forse non lo sai, ma sei una persona bellissima, sono contenta di essere stata la tua buona causa”.

A cura di Alessia Manucci

Noha Matar

Noha Matar (Progetto CIAI, Cambogia: “I diritti dell’infanzia vulnerabile in Cambogia”)

LUCE D’EGITTO

Noha ha 27 anni. È nata a Damietta, nel nord dell’Egitto. La sua è la storia di chi ha sempre voluto vivere al massimo. Noha è forte e decisa, piena di grinta e di passione. È una di quelle persone che io definisco “luminose”: mente brillante, coraggio da vendere e un sorriso radioso.

Da quando l’ho incontrata l’Egitto lo immagino così, come lei, pieno di luce.

Noha! Dall’Egitto a Pavia! Raccontami un po’ di te, della tua storia, delle tue origini.

Sono nata e cresciuta a Damietta, nel nord-est dell’Egitto. È una città piuttosto grande, ma che non ti offre molto. Da piccola studiavo tantissimo, sognavo di diventare una giornalista. Lì, però, non è così facile intraprendere questa strada per chi porta il velo. Per questo ho deciso di dedicarmi allo studio delle lingue e trasferirmi al Cairo, a 18 anni.

18 anni? Proprio da piccola!

Si, infatti avevo molta paura, soprattutto le prime settimane. Il Cairo non era come casa mia, era caotica. Non conoscevo nessuno. Ci sono stata quattro anni. Appena arrivata sono andata a stare nel collegio messo a disposizione dall’università. La vita in collegio non è stata facile, soprattutto all’inizio. Piangevo sempre. Ero costretta a condividere lo spazio con tante altre persone. Dentro di me però, nonostante tutto, sentivo che volevo studiare lingue: volevo finire quel percorso che avevo iniziato. Ho studiato italiano anche se, in realtà, avrei voluto studiare francese. Però, per accedere a questa lingua, in Egitto, devi averla studiata fin da bambina e quindi ho cambiato.

Difficoltà a parte, sei soddisfatta di quell’esperienza?

Si, sono molto soddisfatta. Perchè anche se è stato molto difficile all’inizio, ha creato la persona che sono adesso, mi ha aiutata a diventare la me di oggi. Quindi si, assolutamente soddisfatta.

Prima mi hai detto che portavi il velo, quando hai deciso di toglierlo?

L’ho tolto quando sono venuta a vivere in Italia. Direi che in Egitto era “accettabile” portarlo, perchè tutte le ragazze lo portano. Il velo però ti limita. Ti limita nelle relazioni sociali. Ti limita in tutto, anche nel vestire. All’epoca, infatti, portavo vestiti più ampi come segno di rispetto. Portando il velo, non avrei neanche potuto vivere con qualcuno che non facesse parte della mia famiglia. Dopo il mio matrimonio, ho condiviso la casa con mia suocera e mio cognato. Ciò mi costringeva a rimanere tutto il giorno con il velo in casa mia. Poi mi è anche capitato di trovarmi in situazioni di disagio: le persone in giro mi guardavano, sentivo dei commenti su di me. Ad un certo punto non ce l’ho fatta più e ho deciso di toglierlo.

Tuo marito è italiano?

Si, ma l’ho conosciuto molto tempo prima di arrivare in Italia. Ho conosciuto Daniel su un’app di scambio linguistico. Lui voleva praticare l’arabo, io l’italiano. Quando sono venuta a Milano, per una formazione, gli ho chiesto se volesse incontrarmi e lui ha accettato. Ci siamo goduti quei giorni insieme, ma quando sono tornata a casa è stato un po’ difficile credere in questa relazione. Sai, la distanza, la religione, un milione di cose. Ma poi ci siamo ritrovati. Il sentimento che provavamo l’uno per l’altro era molto forte. Daniel è venuto a trovarmi in Egitto e questo ci ha aiutato a capire che volevamo davvero stare insieme e a credere di più nel nostro amore.

Da quanto tempo siete sposati?

 Ad aprile saranno due anni!

 E tu sarai lontana però…

Si, questo mi pesa un sacco. Mi spaventa. Quando amo una persona devo averla vicino, sembro quasi una bambina con lui. Lo seguo ovunque, facciamo tutto insieme. Da lontano non potrò condividere ogni cosa con Daniel. Ora che sto per partire mi rendo davvero conto di quanto sono attaccata a lui.

Potresti scrivere una sorta di diario da fargli leggere quando torni, così anche lui in qualche modo rivivrà la tua esperienza.

Si, infatti! Io adoro scrivere. Scrivo tantissimo. Mi aiuta a liberarmi, ad esprimermi. Spesso mi capita di sentire cose che non riesco ad esprimere se non attraverso la scrittura. Con la penna mi libero di tutti i pesi che porto addosso, e anche delle paure. E’ una delle mie più grandi passioni, insieme alla lettura. Mi piace perdermi nei libri. Amo i romanzi, quelli che mi permettono di sognare!

Perchè hai scelto di fare il Servizio Civile?

Hofatto un master in cooperazione internazionale. Ho collaborato con un’associazione, ma stando solo in ufficio. A me però è sempre interessata l’esperienza sul campo, soprattutto in Asia o in Africa. Vedevo sempre i miei colleghi partire per l’estero, mentre io invece restavo sempre lì. Quando ho letto il progetto per la Cambogia mi è piaciuto tantissimo e ho deciso di fare domanda. Certo, prima ne ho discusso con Daniel. Lui all’inizio non era molto d’accordo, per via della distanza. Poi ha capito l’importanza che avrebbe avuto per me questa esperienza.

Sei contenta di andare proprio in Cambogia?

Inizialmente avrei preferito andare in Africa, perchè lì sono le mie origini. Anche se il nord non assomiglia affatto all’Africa subsaharaiana. Però mi sono detta “se voglio lavorare nel mondo della cooperazione devo andare oltre e conoscere anche altre realtà”, per questo ho scelto la Cambogia.

C’è qualcosa che ti spaventa di questa esperienza che ti aspetta?

Premetto, sono una persona molto sensibile. Il progetto in Cambogia sarà incentrato sui diritti dell’infanzia vulnerabile. Ho paura di confrontarmi con situazioni molto complesse, a livello umano, e di non essere in grado di gestire la mia emotività.

Prima mi dicevi che ti sarebbe piaciuto operare in Africa perchè è lì che sono le tue origini: hai mai pensato di proporti per qualche progetto in Egitto?

Vorrei proporre io qualche progetto lì, un giorno. In Egitto ci sono tante opportunità in questo ambito, soprattutto al sud. Nonostante il turismo, c’è molto bisogno di progetti di sviluppo. Non ci sono tante organizzazioni che operano in quella parte del Paese. Molti bambini stanno per strada, l’educazione stessa ha bisogno di una nuova spinta. Ho l’impressione che il livello di istruzione nel tempo stia regredendo invece di avanzare. Secondo me il problema principale in Egitto è la società stessa. Lo sviluppo va portato tra le idee delle persone. Vanno diffusi diritti e libertà personali. In Egitto non ti senti libera di scegliere, hai sempre dei limiti, imposti anche dalle tradizioni. Per questo credo che smuovendo l’educazione, le nuove generazioni potranno portare nuove idee e cambiare la realtà attuale.

Hai già pensato a qualche strada da percorrere per arrivare a questo?

L’Egitto ha bisogno di riscoprire i propri valori e, come dicevo prima, lo devo fare soprattutto nell’ambito dell’istruzione. Mi piacerebbe riproporre lì un master simile a quello frequentato da me in Italia. Un percorso che abbia la stessa struttura, con dei tirocini formativi e anche la possibilità di fare volontariato, altra cosa che in Egitto non è così semplice da fare. Vorrei che questa strada fosse però accessibile a tutti, molto più di quanto lo sia stata per me che, appunto, ho dovuto farlo qui. Non è stato semplice avere una borsa di studio per portarlo avanti, nè lo è stato ottenere il visto. Dando la possibilità ai ragazzi di seguirlo nel loro Paese tutti questi ostacoli sarebbero debellati.

Chi è Noha?

Su di me dicono sempre che sono testarda e lo sono davvero. Sono molto determinata: se domani vorrò una cosa, lotterò per averla e l’avrò! Sono stata molto fortunata perchè tutto quello che sognavo di fare, gli studi, il matrimonio, vivere in Italia, l’ho fatto. Vorrei viaggiare per il mondo. Questo ancora non lo faccio, per ora…

E come affronti una delusione?

Per me è molto difficile. Però, sento di essere molto maturata rispetto a qualche anno fà. Da piccola mi buttavo davvero giù quando non riuscivo a raggiungere i miei obiettivi. Ora vivo diversamente. Ci provo e poi se riesco bene, altrimenti va bene lo stesso. Ho imparato a capire che se non riusciamo a fare andare qualcosa come vorremmo, forse non è semplicemente la strada per noi.

Ok, ora per concludere facciamo un gioco. Ti dico una parola e tu, senza pensarci troppo, mi dici la prima cosa che ti viene in mente. Pronta?

Mh… Pronta!

Cambogia. Natura.

Daniel. Il mio amore.

Egitto. Famiglia. Non ci vivrei però…

Casa. Quale casa?

Noha. Un colore, il bianco: la luce.

a cura di Beatrice Roscioli

Teodosio De Bonis

Teodosio De Bonis (Progetto CIAI, Cambogia: “I diritti dell’infanzia vulnerabile in Cambogia”)

IL PICCOLO PRINCIPE CHE CRESCE NEL SOCIALE

Durante la formazione generale ho avuto il grandissimo piacere di conoscere Teodosio, ventottenne che ha trovato l’equilibrio fra una professione finanziaria e il mondo del non profit. Sincero e convinto delle proprie ideologie vuole contribuire attivamente allo sviluppo sociale, portando nel suo zainetto della speranza: energia, positività e desiderio di un cambiamento generale.

Come mai hai deciso di fare domanda per il Servizio Civile Universale?

Il mio percorso è un po’ particolare. Ha avuto inizio con una laurea in “Economia, management e marketing”, quindi nulla a che fare con il sociale, stile di vita che a quei tempi non avrei mai preso in considerazione. Quando ho messo in pratica i miei studi, però, mi sono reso conto di spendere la maggior parte del mio tempo e delle mie energie per contribuire solamente ad un mondo capitalista. A quel punto ho realizzato che era il momento di una svolta. Le mie risorse non venivano impegnate nei valori in cui credevo. Percepivo sempre di più un sentimento di incompletezza, così pian piano ho cominciato a sviluppare l’idea che non stessi dando un contributo umano reale, se non alla mia cerchia ristretta di amici e familiari. Da un giorno all’altro ho deciso di lasciare il lavoro e ho intrapreso un viaggio nel sud-est asiatico. Sono venuto a contatto con realtà completamente diverse, che hanno fatto emergere il mio desiderio di volermi impegnare nell’ambito del volontariato. Queste esperienze mi hanno fatto maturare tantissimo e mi hanno spinto a cambiare completamente la mia prospettiva di vita. Al ritorno in Italia mi sono iscritto alla facoltà di “Antropologia”, che spero mi dia una base teorica più solida. Il Servizio Civile Universale è l’occasione pratica per capire come funziona una ONG strutturata che si occupa di problemi umanitari. Questa esperienza rappresenta per me un nuovo punto di partenza, con principi e valori fedeli alla mia persona.

Quale progetto hai scelto e come mai?

La scelta del progetto nell’Asia orientale è dovuta alla mia grande passione per questa macro regione. Mi sento affine a livello caratteriale, per l’introspezione, la serenità e la calma che contraddistingue il popolo asiatico. Il progetto si occupa dei “diritti dell’infanzia vulnerabile in Cambogia” ed è affine al mio percorso di volontariato, svolto in diverse scuole dove sono stato a contatto con i bambini. Quando ero in Asia mi sono reso conto che, nel corso della mia vita, ho sempre dato per scontato l’istruzione, quando in molte parti del mondo invece di essere un diritto è un sogno o un privilegio. In Europa siamo abituati ad essere formati almeno quel minimo indispensabile che ci permette di costruire un pensiero critico e logico. In India invece, come anche in altri paesi, questo diritto non è scontato e in alcuni bambini ho visto il vuoto negli occhi, uno sguardo da adulti, senza speranza né pensiero in generale. Credo quindi che l’istruzione sia la base di partenza necessaria per il vero sviluppo. È una sorta di cassetta degli attrezzi, che permette la parità e l’equità, e tutto il processo parte dal bambino. Ecco il motivo per cui ho scelto questo progetto.

Che cosa speri di acquisire da Servizio Civile Universale?

Sicuramente più competenze tecniche, perché non avendo mai lavorato in una ONG, mi mancano i passaggi fondamentali per capire come farla funzionare bene. Voglio capire come si porta avanti un progetto, dal momento in cui si crea l’idea fino al termine del suo ciclo. Mi piacerebbe dare un contributo solido nel tempo e iniziare un nuovo percorso all’interno della cooperazione internazionale, è il passo che mi manca.

Che cosa vuoi assimilare dalla Cambogia?

Ho scelto questo paese perché ha una storia molto recente e purtroppo anche tragica. Lì si possono incontrare tantissime persone che hanno vissuto la guerra civile e raccontare il loro passato. La storia qui la si studia personalmente, quasi toccandola. La Cambogia è un paese che è stato decimato, ma ha tantissima voglia di vivere. Desidero interiorizzare la loro capacità di non arrendersi a livello emotivo e di non lasciarsi abbattere. La voglia di ricominciare, vivere e di andare avanti.

Che cosa pensi di poter portare tu invece?

Tutto il mio pacchetto di esperienze nel mondo del volontariato, ma anche il mio curriculum in economia. Voglio capire come poter trasformare tutto quello che ho imparato nel mercato commerciale, nel mondo del non profit e contribuire attivamente.

Che cosa succederebbe nel caso in cui il progetto ti dovesse deludere?

Nel caso in cui un’aspettativa venisse disattesa allora cambierei semplicemente prospettiva, cerco di vedere il lato positivo delle cose. Quindi non è possibile che questo progetto mi deluda da ogni angolazione. Sono sicuro che comunque, dal punto di vista formativo, sarà un’esperienza positiva.

Con i tuoi colleghi che rapporto speri di creare?

Indipendentemente dai fattori esterni, spero sinceramente di condividere appieno questa esperienza, luci ed ombre. Per quel poco che ho avuto la possibilità di conoscere sono delle persone eccezionali e credo che riusciremo a costruire un’ottima squadra. Tutti noi abbiamo delle competenze specifiche e siamo completi sia dal punto di vista tecnico-professionale che emotivo.

Che cosa ti mancherà di più dall’Italia? Ti dispiace lasciarla?

Mi mancheranno gli affetti chiaramente, anche se sono dei legami che ho già trasformato tanti anni fa in dei rapporti maturi, che vanno al di là della territorialità. È stato difficile otto anni fa quando lasciai il mio paese per la prima volta, ma ora non mi dispiace partire di nuovo. Inoltre, non credo di voler tornare nell’immediato futuro. Credo di avere ancora tanto da assorbire, nonostante stia maturando sempre di più l’idea che un giorno, molto lontano, quando tornerò sarà per restare.

Consiglieresti ai giovani di fare il Servizio Civile Universale?

Lo consiglio assolutamente. È un’opportunità che lo Stato italiano ci concede e purtroppo non sono nemmeno tanti posti. Dobbiamo sfruttare questo diritto che ci è offerto. Spero che tanti giovani abbiano la possibilità di farlo e di promuoverlo, affinché sia sempre più conosciuto e possa arrivare a più ragazzi possibile. È la nostra finestra sul mondo e non dobbiamo sprecarla.

Un’oggetto che porterai sicuramente con te?

Può sembrare banale ma è il mio piccolo zainetto. È ormai logoro per tutti i viaggi in cui mi ha accompagnato, ma è dove tengo le cose essenziali. Psicologicamente ho bisogno di vederlo e non me ne stacco mai. Inoltre ha le mie stesse origini, bolognese. È stato perso e ritrovato, rotto e riparato, resiste nel tempo e nei luoghi. È un po’ come me.

a cura di Diana Dianu

Valentina Scala

Valentina Scala (Progetto EDU-DAC, Senegal: “Salute: stop malaria e consultorio femminile a Pikine Est)

VALENTINA: LA RAGAZZA PONTE

Valentina, predestinata al mondo della cooperazione e del volontariato, è un vero e proprio concentrato di generosità, pazienza, attenzione e genuinità. “Sarà per malformazione genetica”, come dice lei, che, cresciuta da due psicologi, ha sviluppato una spontanea e naturale indole da ascoltatrice. Chiunque la vedesse si accorgerebbe del suo sguardo dolce e vivace misto ad un’acuta capacità di osservatrice.  A me piace definirla come un vero e proprio ponte e questa figura, infatti, ricorre spesso nell’intervista. Un ponte che si era prefigurata sin da piccola, un suo sogno infantile ma che piano piano si sta concretizzando. Con il suo coraggio, la sua forza di volontà e la sete di scoprire e scoprirsi, ogni esperienza vissuta e che vivrà costituisce un mattone di quel ponte che la aiuterà a trovare le risposte che cerca.

Mi puoi dire qualcosa di te?

Sono Valentina, ho 25 anni, nata e cresciuta a Roma. Ho frequentato il Liceo linguistico dove ho studiato inglese, francese e spagnolo, di cui mi è rimasto molto poco. Ma recupereremo soprattutto il francese in quest’anno di servizio civile.

Perché non hai continuato a praticare queste lingue?

All’università ho fatto infermieristica e col fatto che era lontano da casa, passavo tutta la giornata fuori e quindi, purtroppo, non avevo il tempo di praticare le lingue. Poi l’inglese, bene o male si riesce a praticare, ma per il francese e lo spagnolo non avevo mai tempo. Il francese però, lo riprendiamo. Lo spagnolo anche lo riprenderemo perché ho un ragazzo venezuelano che ogni tanto mi parla in spagnolo e quindi troverò il modo di praticare pure questo, sono obbligata!

Raccontami un po’ di te e del tuo percorso di studi.

Alle superiori ho presentato la tesina che si intitolava Ponte, come immagine metaforica di unione e quindi già il mio destino era chiaro ed esplicitato. Ho scelto infermieristica perché ho da sempre voluto fare l’infermiera nell’ambito della cooperazione, con lo stupore di tante persone secondo le quali fare questo lavoro non era un’ambizione, con la solita domanda: “se sei tanto brava, perché non vai a fare il medico?”. Tanti non capiscono che sono due cose diverse. È stato difficile farlo capire a molte persone e lo è tutt’ora. Ho frequentato l’università un po’ lontano, però sapevo che era molto buona e che gli studenti erano molto seguiti e quindi ne è valsa la pena. Durante il terzo anno sono andata in Perù, per una missione di volontariato, che mi ha dato un po’ un assaggio e una conferma di quello che sarebbe stato il mio mondo. Si trattava appunto di una piccola esperienza però, della durata di due settimane, in un contesto molto organizzato a diretto contatto con la realtà locale. Lavoravamo e ci spostavamo nei villaggi con le persone del posto. Peccato aver avuto poco tempo per esplorarlo a fondo. Ad ogni modo, è stata un’esperienza molto positiva e una piccola conferma. Finita l’università, tutte le ONG e le varie organizzazioni mi richiedevano un po’ di esperienza lavorativa, giustamente. Quindi mi sono detta, facciamo un po’ di esperienza lavorativa! Così ho iniziato a lavorare nell’ospedale dell’università dove avevo studiato, prima in diagnostica per immagini e poi in oncoematologia. Era un po’ l’altro campo che mi interessava approfondire oltre alla cooperazione, perché ci avevo fatto il tirocinio e mi era piaciuto molto, soprattutto in ematologia. Mentre lavoravo in oncoematologia, ho preso anche un master in area critica, sempre per mantenere vive le conoscenze, farmi curriculum e approfondire anche l’ambito critico, che per quanto uno ci possa lavorare o non lavorare ci si può capitare in qualsiasi momento, quindi sapere dove mettere le mani è sempre meglio. Sono state comunque due esperienze molto belle, soprattutto in oncoematologia, perché si sta a contatto con delle storie, con delle vite che finiscono, con dei parenti, hai dei rimandi personali e quindi impari a gestirli e gestire la situazione e quindi sicuramente molto positiva come esperienza. E poi, finito il contratto ho detto, e mo’ che faccio?

E mo’ che hai fatto?

Mi è sempre rimasto questo pallino della cooperazione. Finito il contratto, non mi è stato rinnovato. Prendo la palla al balzo e decido di fare questo corso richiesto da medici senza frontiere. È un corso che fanno a Brescia, in Global Health, salute globale e tropicale, e che ti dà un po’ un assaggio della cooperazione e di quello che è il mondo della cooperazione e comprende una parte più clinica su malattie infettive, malattie materno-infantili e varie esperienze a contatto con numerose ONG come medici senza frontiere. Sono stati 4 mesi di lavoro molto intensi ed era proprio quello che mi interessava. Facendo questo corso, ho conosciuto delle compagne che hanno fatto l’esperienza del servizio civile, mi hanno un po’ spiegato quel che era, perché non conoscevo l’aspetto universale. Lì ho iniziato a contemplare anche quest’opzione e ho conosciuto anche l’ordine di Malta. Un giorno è uscito questo bando per lavorare affiancando la guardia costiera a Lampedusa. In prossimità della fine del corso, quindi, ho fatto richiesta tramite il bando e mi hanno chiamata per il colloquio, tempo un mese ed ero a lavorare a Lampedusa. Lì ho trascorso tutto luglio e tutto settembre.

Com’è stata quest’esperienza?

Molto bella. All’inizio non sapevo se sarei riuscita, ma quando ho saputo che una ragazza che aveva frequentato il mio stesso corso di infermieristica l’aveva fatto subito dopo i tre anni, mi sono data un po’ di forza sulla scia della sua esperienza e ho pensatoproviamoci!”. Il primo giorno, già un’ora dopo il mio arrivo, ero sulla motovedetta col caldo, la nausea, in mezzo al mare, non sapevo neanche chi ero! Ma poi piano piano chiacchieri, ti informi, agisci, perché poi a quel punto non hai molta scelta, se ti chiamano devi andare ad operare. Quindi luglio è stata un’esperienza bellissima, ma ha fatto tanto anche il gruppo. Eravamo tutti giovani, in una sola casa ed eravamo un po’ tutti sulla stessa barca (in tutti i sensi!). Quindi molto interessante e molto impegnativa, ma bella, e siccome mi interessava l’ambito, era sicuramente utile per potermi esprimere sulla questione. Vedere con i miei occhi, mettere mano e poter dire, “in base a quello che ho visto io, quello che penso è questo”. Chiaramente l’idea già c’era, però poi senti altri giudizi e ti metti anche un po’ in dubbio, metti in dubbio quelle che reputi le tue verità. Questa era un po’ l’occasione per rivedere le mie idee e poterle contestualizzare e giustificare, che per me è importante perché per quanto uno si possa informare, è utile anche vedere com’è sul posto.

Che idea ti sei fatta?

Sentivo di essere nel posto giusto al momento giusto, a documentare con i miei occhi e non a giudicare dai servizi sul telegiornale. È stata una conferma e un orgoglio per me fare un’esperienza del genere. Poi sono tornata e ho deciso di fare la domanda per il Servizio Civile Universale. Mi sono presa del tempo per stare un po’ con la mia famiglia, è quello di cui sentivo di aver bisogno prima di partire di nuovo.

Come ti sembra quest’esperienza? Cosa ti aspetti?

Una risposta. È quello che ho sempre voluto fare, ma che non ho mai concretizzato realmente. Ho messo in discussione tutto per questo e alla fine di questi mesi arriverò sicuramente a capire se è solo un “tarlo”, un’esperienza interessante, oppure se può essere effettivamente la mia strada. Questo per me è sempre stato un sogno, ma proprio perché parliamo di sogni sono carichi di aspettative, quindi è molto facile rimanere delusi.

Quindi sei un po’ una cacciatrice di risposte, se si può dire così.

Sì, assolutamente. Spero che questo mi dia una risposta, più che altro per capire cosa posso fare nella mia vita. Quello che non vorrei, appunto, è lavorare in ospedale e continuare ad avere il rimpianto di non aver fatto un’esperienza del genere. A questo punto mi sono detta, “faccio quest’esperienza per vedere se effettivamente quello che pensavo fosse un sogno può diventare anche realtà e concretizzarsi.”

Cosa ti caratterizza?

È difficile che mi faccia degli “auto elogi”, perché vedo talmente tante belle cose attorno a me che a volte ho difficoltà a credere che le mie siano belle. Sono una persona molto riservata su certe cose, una che sa ascoltare e forse questo fatto è dato da una malformazione genetica essendo figlia di due psicologi. Sicuramente sono una persona disponibile e presente nel momento del bisogno.

E l’immagine del ponte ti rappresenta in qualche mondo?

Mi piace l’ambito della cooperazione, ho tirato fuori la mia passione con l’immagine di questo ponte e ho deciso, dopo i cinque anni di liceo, di fare tutto ciò che mi può portare a raggiungere il mio sogno. Mi sono detta “Ve lo spiego così, vi presento quello che voglio fare e magari un giorno tornerò e vi dirò che ce l’ho fatta!”

Spenti i microfoni abbiamo continuato a chiacchierare e mi ha stupito quanto mi veniva spontaneo e naturale confidarmi con lei, anche sulle questioni più personali, e sentirla già amica. Niente da fare, questa ragazza ha il gene dello psicologo nel DNA! Valentina è così, più si racconta e più ti fa venire voglia di scoprirla. È come se questi occhi pieni di vita, dolcezza e immensa curiosità fossero le porte di un oceano infinito che lei decide, con la sua saggezza, di farti assaporare un po’ alla volta ed è proprio questo che ti fa venire ancora più voglia di immergertici e saperne di più.

a cura di Oumaima Saikouk

Irene Alessandrini

Irene Alessandrini (Progetto AMU-AFN: “Promuovere la cittadinanza globale dei giovani”)

IRENE, LA VIA PER LA BELLEZZA

Dai vortici del caos nasce Irene, una stella danzante. Irene è luce, energia pura che trasforma. È una giovane donna che si racconta in una danza di movimenti, regalando la speranza di nuovi orizzonti di viaggio, di scambio. È una fonte guizzante di ideali cristallini che nascono dall’ascoltare, dall’imparare, dall’amarsi.

Parlami delle tue origini, da dove viene Irene?

Vengo da un contesto che è molto mixato, fatto da una parte di povertà e sacrifici, dall’altra di agiatezza, di attenzione al porsi e all’apparire. Sono cresciuta prendendo qualcosa da tutti e due, anche se mi sento poco adeguata in entrambi. In realtà non so bene da dove vengo, ma so che non c’entro più di tanto.

Hai idea invece di dove vuoi arrivare, di quale potrebbe essere la tua missione, il tuo talento?

Quello che mi piace è migliorare qualcosa, partendo dal piccolo. Mi piace tirare fuori qualcosa di bello e per questo sento di avere uno spirito molto artistico e creativo.

Cos’è la bellezza per te?

Qualcosa che ti fa sentire pacificata, in cui trovare armonia quando la guardi. Per questo credo sia estremamente soggettiva. In me convivono due anime particolari, da un lato mi sento creativa, dall’altro ho una tendenza all’organizzazione, alla precisione.

Pensi che le tue due anime siano in equilibrio?

In realtà penso di no, e mi dispiace.

L’esperienza di Servizio Civile Universale che ti aspetta potrebbe essere l’occasione per trovarlo?

Si, ho scelto proprio questa esperienza perché è qualcosa che può permettermi di coniugare le due cose, e può insegnarmi a legarle insieme, ad unirle.

Mi racconteresti di più del progetto che hai scelto?

Il progetto si chiama “Promuovere la cittadinanza globale dei giovani”, mi ha colpito molto per l’accento che pone sull’interculturalità. È una tematica con cui ci interfacciamo tutti i giorni e spesso è difficilissima da comprendere. Vorrei che avesse più risonanza il comprendere l’altro, la voglia di capire la sua cultura, fino ad arrivare alla conclusione che per quanto possa essere differente dalla nostra, siamo tutti inevitabilmente e reciprocamente legati.

Hai mai vissuto un contesto come estraneo per te?

Ho fatto un’esperienza in cui mi sono trovata in difficoltà, un’esperienza di volontariato in Sicilia con dei bambini della periferia, molte cose che accadevano lì per me erano davvero fuori dal mondo. Però, anche se è stato difficile, è stata l’esperienza più arricchente della mia vita: ho potuto vedere la trasformazione. Vedere il bambino che mi ha dato della puttana il primo giorno, perché sono una donna, mostrarsi dispiaciuto nel vedermi andar via. Sentire di aver avuto un ruolo, anche se per un momento, nella vita di una bambina che probabilmente si scorderà di me, ma che io non potrò mai dimenticare. Tutto questo ha significato tanto per me.

Visto che anche il progetto SCU che hai scelto sarà con i bambini, pensi che lavorare per i bambini è quello a cui vorrai dedicarti?

Sì, anche se piuttosto che intervenire sulla scuola, vorrei farlo in un ambito più grande. C’è un libro, si chiama Metà del cielo, che ha cambiato completamente il mio modo di vedere le cose. È un’inchiesta giornalistica del NY Times riguardo la prostituzione minorile nei paesi del sud-est asiatico. Racconta di alcune bambine, che poi diventano donne, e delle loro vicissitudini. Informandomi, ho capito che gli enti che se ne occupano nello specifico sono pochi e senza fondi. Sono enti a cui nessuno dà credito, perché è una tematica su cui è difficile intervenire, bisognerebbe farlo a livello istituzionale. Non si può intervenire direttamente nell’area interessata, non si può strappare la bambina al suo protettore, perché ucciderebbe tutta la sua famiglia. Spero di arrivare ad un livello di formazione, di competenze, tale da poter mettere davvero in atto un cambiamento in questo ambito.

Vuoi dirmi della tua formazione?

Sto studiando Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ciò che più mi interessa di questo percorso è lo studio delle lingue, della diplomazia, delle relazioni e dei diritti umani. Penso che studiare queste materie mi abbia aiutato ad avere più lucidità ed equilibrio nel vedere le cose.

Pensi che vivrai in Italia, che sia il posto giusto per te?

Amo molto l’Italia, è un posto che sento mio. Per farti un esempio banale, ti confesso che mi emoziona moltissimo l’inno durante i mondiali di calcio. Dopo l’esperienza Erasmus ho iniziato a sentirmi più europea che italiana e spero, esplorando sempre di più, di arrivare a sentirmi “nel mondo”.

Qual è la cosa migliore di te secondo te, o per le persone che ti stanno vicino e ti vogliono bene?

La mia autostima. Quello che ho imparato, già dall’adolescenza, è che anche se posso avere tante persone intorno a me, l’unica con la quale devo passare il resto della mia vita sono io. Dal primo all’ultimo giorno. Quindi se non mi amo così tanto, non potrò amare nessun altro così tanto.

Come realizzi quello che per le persone che ami è importante, nella tua quotidianità?

Ascolto. È anche importante il feedback, sotto forma di consiglio magari, che può far capire all’altra persona che sto provando a capire il suo problema, a provare empatia.

Secondo te cosa ti fa bene, cosa ti consente di migliorarti?

A me piace imparare. Sui libri, dalle persone, ascoltando storie, imparando lingue. Questo è un grande desiderio che ho, saper parlare benissimo almeno cinque lingue, e mi sto impegnando per riuscirci.

E quali sono?

L’italiano, lo spagnolo, l’inglese, un po’ di francese e sto studiando il portoghese, spero di arrivare a padroneggiarle perfettamente tutte e cinque. Imparare nuove lingue mi fa sentire arricchita e adoro sentirmi così. È ciò che cerco anche nei rapporti umani, scelgo sempre persone particolari con storie diverse. Tanto diverse da potermi regalare qualcosa di nuovo, aiutandomi a realizzare che ci sono modi di vedere le cose che non avrei mai preso in considerazione.

Un colore che ti piace o che ti rappresenta? Il rosso.

Rispecchia la tua personalità? La grinta, la forza, il fuoco?

Sì, per me rappresentata la luce più del giallo. È primario, illumina.

Cosa ti rende felice?

Stare con le persone, mi piace lo scambio, il dialogo, il confronto. E il cioccolato…

a cura di Giusy Sarli

Ufficio stampa

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