sabato, Novembre 23, 2024
Notizie dal Cipsiservizio civile

I volontari in servizio civile quest’anno si presentano (5)

Patrizia Locatelli

Patrizia Locatelli (Progetto CIPSI-COSPE, Senegal: “Dignità e pari opportunità per le donne di Pikine Est e Dakar”)

OLTRE OGNI LIMITE

 “Sarebbe assurdo rinunciare ancora prima di partire, prima di riuscire a conoscere davvero i propri limiti e a superarli”. Patrizia, una ragazza solare e ottimista, vuole mettersi in gioco per migliorarsi continuamente. Non vede l’ora di uscire dalla propria zona di comfort per scoprire sé stessa e il mondo. 

Ciao Patty, raccontami un po’ di te.

Ciao, mi chiamo Patrizia Locatelli, per tutti Patty. Ho 24 anni e vivo in provincia di Bergamo, dove ho frequentato il liceo classico. Dopo la maturità mi sono trasferita a Gorizia per frequentare un corso in Scienze Internazionali e Diplomatiche. Ho optato per questo corso di laurea perché mi sembrava offrire un piano di studi più adatto, coerente e completo per riuscire ad avere una visione più ampia della realtà e dell’attualità. Dopo i primi anni, ho orientato il mio interesse su tematiche legate alla cooperazione internazionale, allo sviluppo sostenibile e ai diritti umani. Per questo ho deciso di proseguire la magistrale in Cooperazione Internazionale sempre a Gorizia, che ormai considero la mia seconda casa.

Cosa fai quando ti vuoi rilassare e svagare?

Ci sono molte cose, ma la lettura è quella che più mi affascina fin da piccina. Mi aiuta a staccare il cervello, immergermi e immedesimarmi in realtà e mondi che non sono i miei.  Credo che anche le letture, nel tempo, abbiano un ruolo nel definire ciò che siamo e io mi ritrovo molto in questa filosofia. È grazie a determinati libri, in cui mi sono imbattuta anni fa, che penso di aver sviluppato una curiosità innata per tutto ciò che ancora non conosco, e la voglia di conoscere, comprendere e andare oltre il mio “piccolo mondo”.

Perché hai scelto il servizio civile?

Da quando ho finito la triennale sento il bisogno di vedere, sperimentare e di mettermi alla prova, in un contesto che non sia “protetto”. A volte è necessario uscire dalla propria comfort zone per conoscersi a fondo, sperimentare i propri limiti e trovare il proprio posto e ruolo nel mondo – se ne esiste uno. Per quanto mi riguarda lo ritengo un’ottima conclusione del mio percorso universitario e non solo. Lo considero un buon punto di partenza per capire come continuare a operare in quest’ambito. Sicuramente ci darà un bagaglio umano impagabile, che custodiremo con cura sia durante che alla fine dell’esperienza. 

Come mai hai scelto proprio questo progetto?

In realtà inizialmente non mi sono concentrata troppo sull’area geografica, perché lo ritenevo rilevante fino ad un certo punto. Ho letto svariati progetti del bando, con lo scopo di trovarne uno che fosse concreto, in cui credere e rispecchiarmi. E la scelta è ricaduta su “Dignità e Pari Opportunità per le Donne a Pikine est”.   Devo ammettere che già avevo puntato gli occhi su questa iniziativa due anni fa. Ora che ho l’occasione di partecipare, sono sia emozionata che curiosa all’idea di partire. Non ho mai partecipato a esperienze di questa portata, per cui non ho idea di cosa aspettarmi. Parto senza alcuna presunzione, lasciando la mente sgombra per poter accogliere ciò che Pikine, il Senegal e le persone che incontrerò avranno da offrirmi. So come parto, ma non so come tornerò, ma forse alla fine è un po’ questo il bello, no? 

Come mai il servizio civile e non il volontariato?

Già durante gli anni del liceo avevo cominciato ad informarmi nell’ambito del volontariato, anche se la ritengo un’esperienza un po’ limitante da un certo punto di vista. Il servizio civile lo ritengo credo sia più completo. Tutti partiamo con una buona progettualità alla base, avremo tutto il tempo di capire e calarci nel contesto in cui vivremo per un anno. È anche un’ottima occasione per acquisire competenze e conoscenze in più, spendibili in un futuro contesto lavorativo, che, per quanto mi riguarda, spero continui nell’ambito della cooperazione. 

Avrai anche il tempo di confrontarti con te stessa. Ti spaventa?

In effetti il confronto più duro è e sarà proprio con sé stessi. Ad essere sincera, non mi spaventa, anzi forse è proprio quello che cerco. Queste esperienze aiutano a capire i propri limiti. So di non essere perfetta, conosco quali potrebbero essere i miei punti di forza e quelli su cui lavorare. Per farlo però ho necessità di mettermi in gioco su più livelli e avere gli stimoli necessari per lavorare su me stessa, migliorarmi e arricchirmi. Quale occasione migliore di questa.

Hai mai fatto esperienze lontano da casa?

Come ti raccontavo, ho frequentato l’università da fuori sede e ho la fortuna di considerare Gorizia la mia seconda casa. È una città che mi ha dato molto e a cui sono infinitamente grata. Oltre ai legami che mi sono creata, vivere fuori casa mi ha permesso di acquisire più consapevolezza di me, mi ha spronato ad alzare l’asticella sempre un po’ più in alto e a guardare sempre più lontano. Per cui ho cercato di cogliere sempre più occasioni per mettermi in gioco e trovare ispirazione altrove. Ho fatto l’Erasmus a Vienna, altra tappa fondamentale per me. E verso la fine della triennale sono partita con una Associazione per partecipare a un campo internazionale sui diritti umani. Ho accompagnato quattro adolescenti italiani a Brasilia, dove abbiamo trascorso un mese con undici altre delegazioni da altrettante parti del mondo. L’obiettivo era avvicinare i ragazzi alle tematiche relative alla tutela dei diritti umani attraverso attività ludiche, tutto in uno spirito di conoscenza e condivisione di culture diverse. È stata sicuramente un’esperienza forte e intensa che mi ha insegnato tanto. Ho avuto modo di impiegare tutta me stessa al 300%, anche le risorse e le energie che non credevo di possedere. E anche in quel caso le persone che hanno condiviso il periodo con me sono state fondamentali nel renderlo così unico. Per questo ne parlo sempre con molta commozione e nostalgia. Una volta provate, sono sensazioni di cui è davvero difficile fare a meno. È una continua sfida con sé stessi e la cosa bella è che non affronti mai questa sfida da sola. Tutti coloro che incontri contribuiscono in qualche modo a quello che diventerai, più o meno consapevolmente, e nella relazione con gli altri definisci ciò che sei, in un’evoluzione continua. 

Parlami dei tuoi affetti, di come hanno reagito alla notizia del servizio civile

Nata a maggio, da buon toro quale sono, tengo molto agli affetti e ai miei legami. Di natura mi affeziono abbastanza facilmente ai luoghi e alle persone e tendo a dare fiducia fin da subito, cercando di mostrarmi nel modo più trasparente possibile. Ho la fortuna di avere tanti punti di riferimento nella mia vita. I miei genitori in primis, a cui sono molto grata per tutto l’appoggio e la fiducia che mi hanno sempre dimostrato, anche e soprattutto in questa occasione. Chiaramente le amicizie hanno un ruolo determinante nella mia vita e con loro ho un confronto continuo, fondamentale.  Poi c’è Lele, che considero la mia costante e il mio porto sicuro, e questo è impagabile. Insomma, come puoi capire, dò molto peso alle relazioni che vivo e sono sempre pronta a fare spazio nella mia vita. 

Come ti trovi con i compagni con cui partirai? Conoscevi già qualcuno?

Conoscevo già Umi nel contesto universitario e per caso abbiamo selezionato lo stesso progetto. Siamo una bella coppia e non nego che la sua presenza mi trasmette più tranquillità. Chiaramente un po’ di agitazione relativa alla partenza ci sta, ma conoscere le persone con cui partirò mi dà l’entusiasmo e la carica per intraprendere questa nuova avventura. Comunque sia, comunque vada sarà un successo, perché non torneremo mai come siamo partiti.


a cura di Agata Cantaroni

Anamaria Savianu

Anamaria Savianu (Progetto CIPSI-COSPE, Senegal: “Dignità e pari opportunità per le donne di Pikine est e Dakar”)

FARSI LE DOMANDE GIUSTE

Anamaria, classe 1992, viene da Motta di Livenza (TV). Ha studiato lingue per tutta la vita. Prende le redini della situazione e risponde sicura e trasparente alle mie domande. Cintura nera di karate, appassionata di poetry slam e cinema. Si circonda di musica, di tutti i tipi, adora particolarmente quella dal vivo. Canta spesso… e volentieri.

Ciao Anamaria, mi parli un po’ di te?

Allora, sono Anamaria…

Con una “n”?

Sì esatto. Ho 27 anni appena compiuti. C’è anche un secondo nome, che è Roxana. Sono nata in Romania. Mi sono trasferita in provincia di Treviso a undici anni, assieme a mia madre e a mia sorella. Mio padre era già in Italia da tempo. Ho studiato al liceo linguistico e poi in triennale ho fatto mediazione culturale. Poi mi sono poi iscritta a una doppia magistrale, tra Bergamo e Lione, in Lingue per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale. Per laurearmi dovevo fare uno stage di minimo quattro mesi e ho scelto di andare in Camerun. Mi sono laureata a marzo 2019 e da allora ho cercato diverse opportunità a Roma, visto che soffro un po’ la provincia, in attesa del bando del Servizio Civile.

Quando sei arrivata a Treviso a undici anni come hai vissuto il cambiamento?

Ero ancora una bambina, avevo i biglietti delle mie amichette che dicevano “Ci mancherai tantissimo”. Siamo arrivare senza sapere l’italiano, d’estate, e mi ricordo che ci iscrissero al centro estivo. Mia sorella era molto espansiva, la bambina di tutti, mentre io, fin da piccola, ero timida e ho sofferto un po’. Poi in un semestre a scuola ho recuperato. Non ho avuto grandi traumi se non quelli iniziali. Sai, siamo cresciute in una casa in mezzo al verde con un grande giardino e poi siamo arrivate in questa cittadina di provincia, a vivere in mezzo ai palazzi. È stato un cambiamento importante.

Le lingue che hai scelto di studiare, te le sei portate dietro, le hai cambiate?

Ho studiato prima francese e tedesco e poi ho scelto rumeno come terza lingua, perché a casa mia si parla in dialetto e volevo perfezionarla come lingua. Poi alla magistrale ho cambiato e ho fatto inglese e francese perché non volevo smettere di esercitarmi con l’inglese. Cerco di non perdere il tedesco, ma è una lingua difficile. Ci tengo molto ad imparare il wolof (una delle lingue del Senegal, ndr). L’aspetto linguistico mi piace un sacco. Ho iniziato un po’ a masticare il fufulde quand’ero in Camerun e capivo anche quando sparlavano di me!

Dopo solo tre mesi?

Sì, stavo da una famiglia del posto, parlavano fufulde tutto il giorno e l’ho assimilato in fretta. Non assomiglia a nessuna lingua che conosco. Anche per questo vorrei imparare il wolof. In realtà vorrei imparare tutte le lingue del Senegal ma credo sia impossibile, quindi ci accontentiamo.

Nei tuoi studi sulle lingue c’è stato anche qualche approfondimento riguardante il linguaggio di genere?

Sono fortemente legata a questo tipo di discorso anche se non è stato un tema direttamente legato ai miei studi. La mia migliore amica è una femminista supersfegatata, quindi ho appreso molto da lei. Però mi interessa un sacco tutto quello che riguarda la questione di genere, ad esempio tendiamo a dire “la segretaria” o ci immaginiamo che alcune professioni siano prettamente da donna o da uomo. Mi interessa anche l’aspetto dell’estrema sessualizzazione della donna ed è una delle cose che davvero mi infastidiscono di più. Lavorerò in un progetto riguardante le donne e le pari opportunità, ma sono consapevole che la mia sia un’idea e che vada bene per la società in cui viviamo qua. Per un discorso di pari opportunità e sviluppo non sono molto sicura che le mie idee vadano bene e se la società in cui ci andiamo ad inserire poi le accetti. Io ho una certa visione del mondo e sto cercando di portarla con me. Non ho però la capacità di giudicare migliore la mia visione rispetto ad altre possibili visioni. Il grande dubbio che ho è se quello che farò avrà un impatto sulla società. Chi lo dice che sarò io a portare delle migliorie al modello sociale? Prima di partire per il Camerun mi sono detta: “Io adesso ho le mie idee, non parto per cercare delle risposte ma per capire se le mie domande sono giuste”. Quando sono tornata però, mi sono resa conto che ero ancora più confusa di prima, che più vedi, più sai e più ti poni delle domande e dici “se non so neanche fare le domande giuste, come faccio a propormi come soluzione?”. Poi mi rendo conto che questo lo sapremo solo a ottant’anni, forse.

Hai detto che sei venuta a Roma poco tempo fa, aspettando i bandi del Servizio Civile Universale. Quindi era un obiettivo importante?

Sì, esatto. Siccome la Cooperazione Internazionale mi interessa davvero tanto, il Servizio Civile era fondamentale per me per fare un po’ di esperienza sul campo e vedere meglio come funziona da dentro, assistere ai progetti e alle dinamiche della cooperazione.

Nel progetto che hai scelto hai deciso di andare a Dakar, quindi hai scelto l’aspetto diciamo più “amministrativo” del progetto. Perché?

Principalmente perché mi interessava il COSPE e in particolare una delle attività del progetto. Sono affascinata dalla valutazione che si lega all’idea dell’impatto che puoi avere là. Siccome mi vedo specializzata in valutazione del progetto in futuro, ci tenevo molto. Per me è una cosa importante a livello professionale. Poi c’è l’aspetto sorella, siccome lei è stata presa a Pikine Est, io ho scelto Dakar.

Quindi parti con tua sorella?

Esatto. È venuto un accidente a nostra mamma quando ha saputo che partivamo insieme, ma in fondo è abituata. Io sono una girovaga, sono stata dappertutto. Però sono anche quella responsabile e il fatto che ci sono io la tranquillizza. Mia sorella voleva partire con lo zaino in spalla e invece l’ho convinta a fare il Servizio Civile. Ho un lato molto protettivo verso le persone e quindi ci tengo ad essere presente se ce n’è bisogno. Però penso sia importante che lei si viva la sua esperienza, anche per scoprirsi e mettersi alla prova. È giusto che crei i suoi legami e che io sia lì, però non in casa con lei.

Come ti vedi dopo il Servizio Civile, che cosa vorrai fare?

Sicuramente so di aver bisogno di un po’ di riposo, è dal terzo anno di triennale che non sono stata per più di un anno nello stesso posto. Quindi potrei anche pensare di scegliere un luogo in cui fermarmi. Professionalmente mi interessano il monitoraggio e valutazione dei progetti e sicuramente voglio ricominciare a studiare, forse Psicologia Sociale oppure Sociologia.

Che cos’è che ti dà forza nell’esperienza che stai per vivere?

Sto scoprendo di essere una persona estremamente empatica, forse è una cosa che ho sviluppato viaggiando. Mi sento in grado di creare dei legami positivi e spero che lo sia ancora di più in questa situazione. Mi piacerebbe sviluppare delle relazioni al di là di tutte le differenze, capirsi veramente con le persone di cui mi circondo. Non vedo l’ora di scoprire che cosa mi riserverà quest’avventura.

A cura di Cecilia Ferraro

Andrea Briamo

Andrea Briamo (Progetto EDU-DAC, Senegal: “Salute: stop malaria e consultorio femminile a Pikine Est”)

UNA VITA DA NOMADE

Ho conosciuto Andrea durante il corso di formazione generale, ma non abbiamo avuto modo di interagire troppo finché non siamo stati sorteggiati per intervistarci a vicenda. Dal momento in cui abbiamo iniziato a confrontarci, mi sono sentito a mio agio con lui. La passione per il viaggio ci accomuna e ci ha messo in sintonia, e infatti l’intervista si è subito trasformata in una chiacchierata tra amici. Ho avuto l’impressione di avere a che fare con un ragazzo aperto, abituato a incontrare persone nuove e genuinamente interessato a conoscerle. L’empatia e la determinazione che Andrea sprigiona dimostrano quanto la scoperta, e la curiosità per il diverso, siano importanti per capire meglio se stessi e il mondo che ci circonda.

Ciao Andrea, presentati e raccontaci un po’ di te.

Sono Andrea Briamo, ho 29 anni sono originario della Campani. Vivo a Bergamo con i miei genitori, anche se molto spesso mi trasferisco all’estero perché amo viaggiare, è la mia passione principale. Ho vissuto a Londra, ma anche a Madrid, Valencia e Parigi, sia per motivi di studio che di lavoro. Ho studiato lingue e letterature straniere nella triennale e lingue e progettazione turistica nella magistrale, all’Università degli Studi di Bergamo. Nel frattempo, ho svolto un Erasmus di un anno a Madrid alla Complutense, e poi alla fine della magistrale ho fatto un tirocinio in una scuola privata di lingue a Valencia. Oltre all’italiano e all’inglese, parlo spagnolo, francese e nell’ultimo anno ho iniziato a studiare portoghese. Mi piace stare con amici, bere e mangiare con loro, cucinare, leggere, fare teatro, scrivere diari delle mie sensazioni, suonare e ballare!

Nell’ultimo anno sono rimasto fermo a Bergamo per un’operazione chirurgica al ginocchio, lavorando come insegnante di lingue online. In questo modo sono riuscito a slegarmi dai vincoli dell’ufficio e a vivere anche l’operazione in maniera più tranquilla, perché ho potuto continuare a lavorare, mettere soldi da parte e pensare a nuovi progetti, come quello del Servizio Civile Universale che tra poco inizierà.

A proposito del Servizio Civile, spiegaci perché hai scelto di partecipare a questo programma, su quale progetto andrai a lavorare e perché hai scelto proprio quello.

Ho scelto di partecipare al Servizio Civile perché inizialmente l’ho visto come un’opportunità per seguire quella che è la mia più grande passione, ovvero viaggiare e conoscere nuove culture, e per poter fare il grande passo di uscire dall’Europa. Inoltre, per questioni di età, questo è l’ultimo anno in cui avrei potuto partecipare. Ho deciso quindi di lanciarmi, e per fortuna mi è andata bene. Inizialmente è stato difficile scegliere il progetto, perché prima ho cercato a livello geografico, di destinazione. Quando ho visto che cercando così non riuscivo a trovare nessun progetto che mi convincesse, ho iniziato a cercare per attività e obiettivi del progetto. Così facendo ho iniziato a trovare delle cose interessanti soprattutto in Africa, che precedentemente non avevo considerato come destinazione. Inizialmente mi sono candidato per un progetto educativo in Senegal, solo che essendo arrivato terzo in graduatoria non sono stato selezionato. Dopo un paio di settimane sono stato chiamato per partecipare al progetto, sempre in Senegal, però non servizio educativo ma sanitario, di lotta alla malaria.

Parlaci della tua passione per il viaggio, da cosa è nata?

Viaggiare è la mia passione principale, perché non so ancora chi sono e sono profondamente determinato a scoprirlo. Cosa fa parte di me e cosa no. Viaggiare è la cosa migliore che ho scoperto per intraprendere questo processo di conoscenza e completezza di chi sono, perché quando viaggio, sia nel mondo visibile che in quello intangibile delle culture e delle persone, scopro anche quali sono le mie caratteristiche interiori, che magari non conoscevo o credevo fossero sbagliate. Grazie alle altre culture invece riesco a vedere queste caratteristiche da un altro punto di vista, assimilarle, e anche a lasciare il superfluo. Questo è ciò che riesco a fare viaggiando, prendo il meglio, ciò che mi risuona dalle culture e dalle persone, lasciando quello che non si armonizza con me. In questo modo scopro sia bei paesaggi, cibi deliziosi, persone stupende, ma soprattutto conosco me stesso e mi faccio conoscere dagli altri.

Rispetto a questa tua passione, cosa ti aspetti dall’esperienza del Servizio Civile, riguardo al lavoro, alle persone, e al contesto completamente nuovo?

Principalmente mi aspetto una diversità alla quale non sono preparato, con la quale non vedo l’ora di confrontarmi. Fino ad oggi le diversità che ho incontrato sono state comunque non molto distanti dalla mia. Le diversità che spero di incontrare con il tempo riguardano la cultura, gli ambienti, le persone, i luoghi, quello che sarà visibile agli occhi, ma anche quello che non sarà immediatamente visibile. Spero di fare diverse esperienze attraverso questo progetto, anche a livello professionale. Spero di fare pratica e potermi mettere in gioco in contesti nuovi che non ho ancora provato, e magari un giorno mettere queste competenze sul curriculum a servizio di nuove esperienze.

Ovviamente sarà molto interessante anche l’incontro con altre persone che provengono dalla mia stessa base, l’Italia. Provare un’esperienza di convivenza, di collaborazione, di lavorare così a stretto contatto. Sono abituato a vivere a contatto con altre persone, ma fino ad ora c’è sempre stata una divisione tra vita privata e lavoro. Qui invece, le cose inizieranno a mescolarsi e sono molto curioso di come andrà. Spero di creare dei bei rapporti, anche per il futuro. Conoscendomi, un primo momento di shock sarà abbastanza prevedibile e sarà da affrontare, arrivando in un posto in cui ancora non ho trovato l’occasione di affezionarmi alle persone, alle abitudini e ai contesti appena scoperti. Trascorso questo periodo, come al solito, trarrò il meglio sia dalle relazioni che dalle attività, perché sono sempre stato una persona attiva che ha voglia di sperimentare. Ho voglia di costruire, con una volontà positiva, insieme ai colleghi e alle persone che conoscerò sul posto.

Ultima domanda: ti chiederei di parlarmi dei tuoi progetti e obiettivi futuri, e di come ti vedi tra un anno, una volta conclusa questa esperienza.

Sicuramente sarò una persona più realizzata rispetto ad adesso, perché questa è un’esperienza che volevo vivere. Avrò ascoltato me stesso e realizzato un qualcosa che mi chiedevo da un po’ di tempo. A livello pratico, cercherò di portare avanti alcuni progetti, sempre legati al viaggio, come un giro del mondo che sto progettando da tempo. Sono sicuro che questa esperienza del Servizio Civile mi aiuterà molto ad entrare in contatto con delle culture diverse alle mie, anche molto lontane. In effetti credo che l’Africa sia una palestra non indifferente in questo senso, e grazie a questo anno di esperienza nell’ambito potrò partecipare ad altri programmi come il Servizio Volontario Europeo o i Corpi di Solidarietà Europei. In sostanza vorrei accumulare esperienza nell’ambito e approfittare di opportunità per dare vita al mio progetto più grande, che è quello di vivere, almeno nei prossimi anni, una vita da nomade.

a cura di Alessandro Fusi

Simona Gabrielli

Simona Gabrielli (Progetto La Vita Per Te, Madagascar: “Il diritto alla salute in Madagascar: una frontiera da conquistare”)

SIMONA: L’OSTETRICIA, L’AFRICA, LO SCAMBIO

Simona, ragazza solare e abbastanza estroversa, ha 25 anni ed è di Parma. In questi giorni di formazione generale e attraverso questa intervista capisco che sa far valere le proprie idee con tenacia, che sa adattarsi con facilità alle varie situazioni e alla compagnia con cui si trova e che è una persona sensibile, empatica, disponibile verso il prossimo. Lei ama l’Africa.

Quali sono i tuoi hobby?

Mi piace cantare, suonare, camminare, scoprire e viaggiare.

Hai preso lezione di canto? Quali strumenti hai suonato?

Sì, ho preso lezioni di canto per alcuni anni. Ho suonato il pianoforte e ho iniziato a suonare la chitarra non riuscendo ad imparare bene per mancanza di tempo e ora voglio assolutamente portarmi l’Ukulele in Madagascar per impararlo a suonare.

Ti piace camminare, hai mai fatto trekking di lunga durata?

Ho fatto il cammino di Santiago, in Spagna, il percorso portoghese per l’esattezza, e la Via degli Dei in Italia, quella che va da Bologna a Firenze.

Che viaggi hai fatto nella tua vita? Dove sei stata?

In primo superiore per tre settimane sono stata in Cina a trovare un’amica ed è stata la mia prima esperienza fuori dall’Europa. Durante la quarta superiore sono stata tre mesi nel Nord dell’Australia come exchange student. Poi ho svolto varie vacanze studio nel Regno Unito e una a New York. Ho viaggiato poco in Europa, ma molto in Italia, soprattutto nel Sud, per esempio nel Salento per più volte e in molte città del Centro Italia. Durante il mio percorso universitario poi sono stata per due volte in Africa, prima in Senegal e poi in Tanzania, e per la terza volta, grazie al Centro dei missionari di Parma, in Etiopia.

Quale percorso di studio hai seguito?

Ho frequentato il liceo scientifico EsaBac, che mi ha permesso di conseguire simultaneamente il doppio titolo italiano-francese, cioè il diploma di Esame di Stato e il Baccalauréat.

In seguito, sempre a Parma, dopo un anno di “Tecniche della prevenzione nell’ambiente nei luoghi di lavoro”, anno in cui ho lavorato anche come cameriera in un ristorante, ho deciso di cambiare e frequentare la facoltà di ostetricia.

Come mai hai scelto ostetricia?

A piacermi molto e ad indirizzarmi verso questa scelta è stata l’idea di seguire la maternità e tutto ciò che essa comprende, a partire dalla gravidanza. Non tanto l’evento nascita, quanto piuttosto l’attesa, la scoperta e la psicologia della donna coinvolta, cosa che continua a piacermi tutt’ora.

Parlami delle tue esperienze all’estero durante il tuo percorso universitario.

Durante il secondo anno, sono riuscita ad andare in Senegal per due settimane con delle ostetriche che seguivano un progetto sui tumori uterini e lì mi sono innamorata per la prima volta dell’Africa. Al terzo anno, infatti, sono tornata andando in Tanzania per tre mesi grazie al progetto Overworld, svolgendo un tirocinio in cui sono stata affiancata da una tutor locale. Durante questa esperienza è stato molto significativo per me che i locali abbiano capito che io non ero lì per formare ma per apprendere. Da quel momento non hanno avuto più pregiudizi nei miei confronti e di conseguenza non mi sono più sentita una “white savior”, cioè l’uomo bianco che viene visto come un salvatore.

Attraverso questi due progetti ho conosciuto un modo di fare cooperazione che non mi piace e che non sento mio: quello per cui si pensa legittimo imporre la propria cultura agli altri non curandosi delle reali esigenze.

Dopo la laurea che cosa hai fatto?

In seguito, mi sono trasferita a Firenze per il master in “Medicina tropicale e salute globale” nel quale ho maturato ulteriormente il mio interesse per il mondo della cooperazione, soprattutto attraverso lo studio dell’antropologia. Così mi sono resa conto di come esistano prospettive diverse e come ciò che si crede e l’importanza che si attribuisce a certe cose è relativo a seconda del modo di pensare sviluppatosi in relazione alle varie popolazioni, e appunto di come non esista un unico filone di idee per riuscire a migliorare le cose.

A tal proposito mi piacerebbe molto, dopo l’esperienza di servizio civile, iscrivermi a un corso di laurea magistrale in antropologia per approfondire il mio interesse verso questa meravigliosa disciplina.

Oltre le esperienze in Senegal e Tanzania che fanno capo a un modo che non senti tuo di cooperare, come è stata l’esperienza in Etiopia?

Quando ho avuto l’occasione di conoscere il Centro Missionario di Parma, mi sono finalmente confrontata con uno stile diverso di cooperare, quello dei missionari, i quali fanno missioni anche per tutta la vita e lo fanno senza l’intento di volere imporre la propria cultura e la propria religione, ma con quello invece di scambio reciproco di culture, volendone scoprire di nuove stando a contatto con le persone locali. Così da qui è nato il mio desiderio di partire per fare un’esperienza di missione che si è concretizzato nella mia ultima e recente avventura in Etiopia, che corrispondeva di più alla mia idea di fare cooperazione, attraverso lo scambio reciproco.

Cosa ti è piaciuto di più del “continente nero”?

Attraverso le tre esperienze in Africa ho capito sempre di più quanto mi piace il loro modo vi vivere insieme, basato sulla comunità e non sull’individuo, come accade in Occidente. Questo mi fa sentire a mio agio e mi premette di vivere senza usare maschere, essendo e ritrovando la vera me stessa.

Oltre questo cosa ti ha insegnato l’Africa?

Ho capito e sono sempre più consapevole di dover dare più importanza a quello che noi abbiamo relativamente alle condizioni privilegiate in cui viviamo, come per esempio il semplice fatto di andare a scuola.

Infine vivendo lontano dalla mia famiglia e dalle persone care sono più consapevole della loro importanza.

Cosa ti aspetti dall’esperienza di servizio civile dal punto di vista del tuo modo di voler cooperare?

Ho fatto domanda per il servizio civile prima di partire per l’Etiopia, esattamente per il progetto “Il diritto alla salute in Madagascar: una frontiera da conquistare” e sono stata selezionata. Volendo tornare in Africa per un periodo lungo ho accettato, ma non nascondo di avere avuto dal primo momento qualche dubbio relativo allo stile di cooperazione del civilista in generale, con la paura di ripetere le esperienze negative in questo senso in Senegal e Tanzania. Il secondo giorno di formazione, però, ho trovato risposta, quando mi hanno spiegato la mission e il metodo di lavoro del CIPSI, che è un ente non religioso che mira alla condivisione e allo scambio, secondo il mio modo di vedere la cooperazione spiegato prima.

Quindi, cosa pensi sia essenziale in relazione al progetto per cui sei stata selezionata?

Riguardo al progetto, relativo più precisamente alla prevenzione dei tumori uterini e tumori femminili in generale e alla malnutrizione femminile, credo che sia molto utile avere uno scambio con gli operatori locali, capire quali sono le varie esigenze e possibilità e far partire il cambiamento proprio da loro.

A cura di Luca Vento

Lorenzo Attacchi

Lorenzo Attachi (Progetto di AMU-AFN: “Promuovere la cittadinanza globale dei giovani”)

DARE TUTTO PER UN SORRISO

Ho avuto il piacere di conoscere Lorenzo, un ragazzo calabrese di 19 anni, che abita a Gioiosa Ionica e si è diplomato da poco al liceo artistico di Siderno, all’indirizzo architettura-ambiente.

È appassionato di moto, Valentino Rossi è il suo idolo e in passato giocava a calcio.

Lorenzo è una persona che vuole dare molto e non aspetta mai di ricevere qualcosa in cambio. Un ragazzo estroverso, in grado di coinvolgerti con la sua effervescenza e la sua allegria.

Lorenzo cosa fai oggi?

Oggi sono al primo anno di una triennale in ingegneria meccanica. L’ho scelta perché, alla fine della terza superiore, mi sono reso conto che il lavoro dell’architetto è poco richiesto. Non dico che non c’è il lavoro per chi lo vuole fare, però la strada per arrivarci è molto lunga e tortuosa.

Che lavoro ti piacerebbe fare?

Un giorno spero di lavorare in un team motoristico, perché ho una grande passione per il motociclismo. Ho una mia moto e sono uno scout da quando avevo 8 anni. Ho sempre amato fare nuove esperienze sia in Italia che all’estero. Ho fatto un’esperienza in Giappone per 15 giorni. Mi piace la natura, l’avventura e mi piacciono tutti gli sport estremi. Ho una passione anche per i viaggi, che mi permettono di conoscere nuove culture. Mi piace mettermi in gioco ed essere al servizio degli altri, non mi aspetto qualcosa in cambio, mi basta un sorriso onesto. Mi interessa conoscere la cultura africana, specialmente quella più vicina all’Equatore, che appare più antica e nobile anche se noi la definiamo spesso in modo sprezzante. Mi piace anche la cultura asiatica. 

C’è qualcosa che ti fa fastidio?

Non sono una persona ordinatissima, mi dà fastidio che si tocchino le mie cose. Sono una persona che riesce a confrontarsi, abbastanza bene, con gli altri. Se abbiamo opinioni diverse non sono la persona che ti va contro, ma cerco di vedere la tua opinione e di trovare un incontro.

Perché hai scelto di fare il servizio civile?

Ho fatto la domanda perché mi è stata proposta da mia madre, che ha letto il bando e me l’ha condiviso. Mi sembrava una cosa interessante e ho deciso di provare. Non è un argomento per me totalmente nuovo, perché i miei genitori sono degli scout, quindi il volontariato è stato sempre qualcosa che accomuna la mia famiglia.

Parlaci meglio del tuo progetto, come si chiama e di cosa si occupa?

Il nome del progetto è AFN, che significa AZIONI PER FAMIGLIE NUOVE e si occupa di adozione internazionale e adozione a distanza. È associato ad un altro ente, che si occupa di minori stranieri non accompagnati. Il mio progetto prevede un impegno di 9 mesi in Italia e 3 mesi in Portogallo.

Cosa pensi della nostra società e dell’immigrazione?

L’aspetto sociale è una parte importante delle nostre vite, perché ti apre gli occhi su nuove prospettive, per una rinnovata visione del mondo. Lo scambio e il dono sono fondamentali per l’umanità, perché purtroppo stiamo diventando una società che, all’apparenza sembra aperta, quando in realtà abbiamo un passato pieno di grandi crisi, di nazismo, fascismo e guerre mondiali. Alla fine, però, prevale una chiusura. Ad oggi sembra che il problema principale sia l’immigrazione in sé, io credo che il problema sia interno alle nostre società, che non sono in grado di dare una risposta e a garantire le stesse opportunità a tutti.

Cosa pensi del volontariato?

Il volontariato è una grande sfida che spero di poter portare avanti anche negli anni successivi.

Che cambiamenti ti aspetti dopo questa esperienza?

Non mi aspetto mai grandi cambiamenti per me stesso, però mi aspetto di arricchire il mio bagaglio culturale.

Pensi che ripeterai questo tipo di esperienza di volontariato.

Spero di sì. Ho fatto più volte di volontariato per la Caritas e, ultimamente, ho fatto vari incontri con associazioni che si occupano dell’accoglienza dei migranti.

Cosa pensi degli immigrati in generale?

Per me l’immigrato bisognoso deve essere accolto, deve avere una prima assistenza e deve essere integrato nella società. Bisogna creare contesti di lavoro per lui e per tutti gli altri cittadini in egual modo.

Grazie per l’intervista. 

   a cura di Raja Mraihi

Ufficio stampa

Solidarietà e Cooperazione CIPSI è un coordinamento nazionale, nato nel 1985, che associa oltre 40 organizzazioni non governative di sviluppo (ONGs) ed associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale. Solidarietà e Cooperazione CIPSI è nato con la finalità di coordinare e promuovere, in totale indipendenza da qualsiasi schieramento politico e confessionale, Campagne nazionali di sensibilizzazione, iniziative di solidarietà e progetti basati su un approccio di partenariato. opera come strumento di coordinamento politico culturale e progettuale, con l’obiettivo di promuovere una nuova cultura della solidarietà.

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