venerdì, Novembre 22, 2024
Rivista Solidarietà internazionale

“I dominanti hanno la guerra in testa. Come sconfiggerli?” di Riccardo Petrella

E’ oggi possibile sconfiggere la guerra? Come fare perché questo avvenga?

“La sola guerra che valga la pena è la lotta 
contro la povertà”
Jan Tinbergen, Premio Nobel per l’economia

La guerra è nelle teste dei potenti

L’art.11 della Costituzione italiana (entrata in vigore nel 1948) sancisce che l’Italia ripudia la guerra. In questi 74 anni, i gruppi potenti del paese non hanno mai operato in ossequio dell’art.11 .Hanno regolarmente parlato di pace ma hanno praticato le guerre in ossequio agli imperativi politico-militari del loro principale alleato (Stati Unit)i e alla dottrina dell’atlantismo, l’Italia essendo membro della NATO sin dalla creazione di quel che è diventata nel corso degli ultimi venti anni l’organizzazione militare più potente al mondo, in stato permanente di guerra.

La guerra, come principale mezzo di soluzione dei conflitti e di governo delle relazioni internazionali è nicchiata nel cervello dei potenti, soprattutto dei più potenti, oggi gli Stati Uniti e i paesi membri della NATO (quali la Francia, il Regno Unito). Poi si illustra la Russia di Poutine e dei nostalgici dell’era zarista e sovietico-stalinista per chiudere la lista con le altre potenze nucleari quali la Cina, l’India, il Pakistan, Israele, la Corea del Nord con gradazioni diverse. Ricordiamo che uno dei capisaldi della cultura politica dei dirigenti USA è “Peace through Strength”, versione moderna, più forte, della credenza in auge nella Roma imperiale “Si vis pacem para bellum”. 

Un esempio drammatico di ciò è rappresentato dalla nuova fase della guerra globale che si sta svolgendo in Ucraina, da un lato, da parte degli Stati Uniti e dei membri della Nato contro la Russia allo scopo di approfittare del crollo dell’URSS nel 1989 per ridurre una volta per sempre la potenza militare ed economica russa. Dall’altro lato, da parte della Russia contro i primi con l’invasione inaccettabile e criminale dell’Ucraina, diventata il pione sacrificale della volontà della Russia di non cedere alle aggressioni degli USA e degli Stati membri della NATO. Per decenni la Russia è stata la principale rivale e l’ ostacolo maggiore alla totale supremazia militare e politica mondiale degli Stati Uniti. Beninteso, lo è stata per ragioni di potenza contrapposta e non certo per difendere e promuovere la democrazia e la giustizia a livello mondiale. 

In questo contesto, i più accaniti oppositori al cessare il fuoco in Ucraina sono gli Stati Uniti per via interposta della Nato, il cui segretario generale ripete a piena voce che non si deve affatto cessare la guerra ma continuarla fino alla vittoria e alla sconfitta della Russia. Stesse parole e stessa musica da parte della presidente della Commissione europea, ex-ministro federale tedesco della difesa (durante la sua carica, la Germania è diventata la quarta principale esportatrice di armi al mondo). In terza posizione viene il presidente ucraino portato al potere dal colpo di Stato del 2014 compiuto con il sostegno massiccio degli Stati Uniti. Il nuovo governo ucraino rappresenta i gruppi nazionalisti antirussi, oltreché tradizionalmente antisovietici, a forte colorazione di estrema destra. Cosi, il popolo ucraino, principale vittima di questo gioco mortale, è diventato un popolo totalmente dipendente, acquistato e strumentalizzato a colpi di decine di miliardi di dollari dagli USA-NATO per diventare una enorme spina al fianco della Russia. Infine, ma non meno accaniti dei primi, troviamo i dirigenti attuali della Russia i quali non pensano che a difendere la riconquista della loro potenza perduta presentandosi come simbolo della resistenza e della lotta contro il dominio USA sul mondo. La Russia accusa apertamente gli Stati Uniti di cercare di distruggere la sicurezza della Federazione russa e del popolo russo e di volere mantenere ad ogni costo, con la forza e la guerra, la loro supremazia planetaria. 

A questo riguardo, la Russia, come anche la Cina , l’India, l’Indonesia, l’Africa del Sud, il Vietnam, e persino, molto larvatamene, certi paesi europei e la Cina di Taiwan non hanno torto di pensarlo, perché i fatti lo confermano. Ultimo fra i quali la recente ( 7 ottobre 2022) dichiarazione di guerra tecnologica ed economica da parte degli Stati Uniti contro la Cina. Ma procediamo con ordine. 

La guerra è nella testa dei gruppi dominanti USA sin dalla “dottrina Monroe” (1823) 

I fatti ci raccontano che la guerra è nella testa dei dominanti USA da 200 anni, a seguito delle proclamazioni del presidente americano James Monroe diventate la “Dottrina Monroe”. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione il 2 dicembre 1823, James Monroe affermò che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato alcuna intromissione negli affari americani da parte di nessun altro Stato. L’intero continente americano, affermò, era uno spazio d’interesse strategico per la sicurezza degli Stati Uniti. Ogni interferenza sarebbe stata giudicata una minaccia per la loro sicurezza. Le dichiarazioni di Monroe sono state la base di partenza dello sviluppo dell’imperialismo statunitense e della loro autoproclamata legittimità di affermare la loro sovranità assoluta e la loro supremazia sul continente americano .

Quando ,dopo la seconda guerra mondiale, la supremazia mondiale degli Stati Uniti e dell’Occidenrte fu più che evidente, due corollari furono aggiunti dagli stessi americani. Il primo ( anni ’50) affermo’ che “What is good for the United States is good for the World”. Il secondo, “Con noi o contro noi’, assioma tipico di una cultura imperiale. La vera grande estensione , pero’, nella sostanza e nella portata politico-militare della dottrina Monroe, è intervenuta negli anni ‘90 in occasione di una profonda ridefinizione della concezione strategica della sicurezza degli Stati Uniti, Georges Bush e Bill Clinton imperanti. 

L’estensione fu il risultato della presa di coscienza che in un mondo sempre più marcato dall’artificializzazione della vita in tutte le sue forme, tecnologizzato e dominato dai valori e dai criteri di priorità dell’economia capitalista di mercato su tutto il resto, la sicurezza economica (cioè l’indipendenza e l’autonomia in materia di proprietà, produzione e uso delle risorse e dei processi, prodotti e servizi essenziali per la vita) costituisce la chiave strategica della sicurezza tout court di un paese, 

In questo senso, la militarizzazione dell’economia, secondo la quale la sicurezza militare è sostanzialmente una sicurezza economica, ha fatto del potere di dominio e di controllo delle tecnologie della conoscenza (in particolare, l’Intelligenza Artificiale, le biotecnologie, le nanotecnologie e i materiali rari) la sostanza midollare della sicurezza e della supremazia. Fatto stravolgente, questa sicurezza si gioca, ancor più di quanto lo fosse nel passato “mitico”“ della Haute finance del 19° secolo, nelle immense sale zeppe di ordinatori con le loro protesi umane (gli operatori ) dove la finanza algoritmica lavora al millesimo, vuoi al milionesimo di secondo, miliardi di transazioni il cui valore non è più collegato con l’economia reale. In questo contesto, il potere politico formale e la politica “pubblica” hanno perso gran parte della loro funzione fondamentale. I “signori” che abitano i palazzi dei governi, cosi come le aule parlamentari , incidono sempre di meno sullo svolgimento del gioco mondiale. 

La nuova dottrina strategica USA della sicurezza americana e mondiale ha logicamente ispirato il mutamento profondo delle finalità e del ruolo della NATO. Da alleanza atlantica militare di difesa in caso di attacco militare subito da uno Stato membro, la NATO è diventata un’alleanza militare mondiale d’intervento, anche a titolo preventivo, a salvaguardia della sicurezza (nel senso nuovo di cui sopra) degli Stati membri, evidentemente del più potente tra essi, gli Stati Uniti.

Su questo vedere l’interessante documento redatto dalla CNAPD, Belgio, un mese fa.

L’altra guerra globale è in corso. La guerra tecnologica contro la Cina

E’ in questo contesto che è intervenuta il 7 ottobre scorso, in occasione di una visita ad una fabbrica Volvo nello Stato del Maryland, la dichiarazione della guerra tecnologica/economica degli Stati Uniti contro la Cina

Una decisione presa unilateralmente senza consultazione ed accordo degli “alleati” della NATO. La cosa ha colpito di sorpresa, specie il mondo finanziario, ma era nell’aria. Alcuni giorni dopo, il 12 ottobre, Biden presenta ufficialmente la “nuova strategia di sicurezza nazionale in quanto “potenza mondiale”, centrata sulla “guerra economica e tecnologica“ (la “guerra unica”, dicono i dirigenti USA) in particolare e soprattutto con la Cina considerata da loro la sola potenza che può modificare l’ordine mondiale.

Siamo di fronte ad una guerra di potenza degli Stati Uniti contro la Cina. Non è una guerra della Cina contro gli Stati Uniti né una guerra provocata dalla Cina. Gli Stati Uniti hanno formalmente dichiarato negli ultimi anni che la Cina è il loro nemico sistemico (un’affermazione ripresa tale e quale alcuni mesi orsono dalla presidente della Commissione europea) Ma questo non dà loro la legittimità di scatenare una guerra tecnologica di portata mondiale e foriera di sviluppi molto pericolosi per l’economia e la comunità mondiali. 

Dietro la scusa che gli Stati Uniti sono molto preoccupati dal fatto ache secondo loro la Cina si preparerebbe ad attaccare la Cina di Formosa (un’accusa americana ripresa regolarmente ogni 5-10 anni),ie quindi rappresenterebbe un attacco grave per la sicurezza americana, le ragioni della dichiarazione di Biden sono chiaramene esplicitate nel documento sopra citato. Esse sono dovute soprattutto alla presa di coscienza, e paura , della perdita da parte loro della “leadership” mondiale (come la chiamano) proprio nel campo delle tecnologie oggi a più alta rilevanza strategica per la sicurezza ”nazionale” , come quelle dei semiconduttori e delle pulci avanzate, dalle infinite applicazioni in tuttii campi.

Veniamo ai fatti i quali mostrano che la guerra tecnologica degli Stati Uniti contro la Cina è un esempio parossistico dell’insanità della guerra nella testa del principale sistema di dominio mondiale attuale. 

Primo. Il presidente Biden annuncia che ha approvato una serie di misure relative all’interdizione di esportare alla Cina qualsiasi specie di pulci che possa essere utilizzata per l’intelligenza artificiale, la difesa e gli ordinatori ad alta capacità. Ora, le pulci sono dappertutto: nelle auto, nei telefoni, nelle protesi cardiache, negli allevamenti animali, nella cultura dei legumi, nei missili a testata nucleare, negli spettacoli, negli ospedali…Inoltre, le misure stabiliscono un controllo più grande sulle vendite alla Cina di strumenti che permettono di fabbricare dei semi-conduttore Le misure sono molto pesanti quando si pensa che la Cina deve importare 80% delle componenti elettroniche necessarie alle sue industrie . Nel 2019 ha speso più di 200 miliardi , una cifra superiore alle spese per il petrolio.

Secondo. Nel corso degli ultimi trent’anni le imprese americane produttrici dei semiconduttori hanno spostato all’estero la loro produzione. Negli anni ‘’90 gli USA rappresentavano il 37% della produzione mondiale, oggi poco più del 12% .All’inizio di agosto 2022, Biden ha fatto votare un piano di 52 miliardi di dollari per riportare in patria la produzione delle nuove generazioni di semiconduttori. 

Il futuro si farà in America“ ha detto.

Terzo. Fatto molto importante: le misure d’interdizione non si applicano solo ai soggetti economici statunitensi .ma anche a tutte le imprese degli altri paesi alleati e non alleati. Gli Europei non sono stati consultati? Ebbene, fanno capire gli Americani, che obbediscano. Punto. Questa ingiunzione deriva dal fatto che gli USA si considerano “una potenza mondiale con interessi mondiali” , per cui la loro sicurezza si gioca in tutte le parti del mondo perché essi sono una potenza indo-pacifica, una potenza mediterranea, una potenza americana continentale, ecc. ecc.

Quarto. In una settimana dall’annuncio, i principali gruppi attivi nel campo dei semiconduttori e delle pulci logiche avanzate hanno visto sfumare più di 250 miliardi di dollari di valutazione borsistica. Non hanno reagito sperando di ricuperare rapidamente le perdite dovute alla sorpresa. Ma questo mette in luce il fatto che fra glii attori principali della guerra tecnologica un peso determinante sarà giocato dalla finanza globale. il che non è detto che l’esito sarà favorevole alla cooperazione, alla giustizia, alla solidarietà, all’efficacia nell’interesse di tutti.

Quinto. Attaccando la Cina gli Stati Uniti sono oggi in conflitto aperto simultaneamente con la Russia e con la Cina. Un po’ troppo, in verità. Come interpretare questa rapida moltiplicazione di guerre globali provocate dagli Stati Uniti? Incoscienza, calcolo premeditato (“guerra unica’) , segno di perdita di fiducia in se stesso da parte di un potere egemonico, fuga in avanti di un dominante alla ricerca di conservare la potenza di prima, manovra tattica di politica interna per togliere a Trump argomenti elettorali? 

Non è il compito di questo articolo di approfondire l’argomento. È sufficiente sottolineare che quali che siano le ragioni, indubbiamene varie, la ragione fondamentale è una, una sola: impedire la Cina di mettere in questione la loro supremazia economica, militare e politica mondiale. Per questo obiettivo, gli Stati Uniti sono pronti a sconquassare il mondo e a mettere in pericolo il divenire dell’umanità e della vita del pianeta Terra. 

Ai dirigenti USA interessano poco il presente e il futuro degli afgani o degli iracheni, dei russi cosi come degli ucraini, degli europei, dei popoli centroafricani, del venezuelani o dei brasiliani, dei cinesi di Formosa. Né sono interessati allo sviluppo durevole del mondo e alla sopravvivenza della vita della Terra, alla giustizia sociale, alla pace. Tutto conferma che ad essi interessa soprattutto la loro potenza, il loro dominio, il loro ”benessere” e, conseguentemente, non vogliono cambiare il sistema che ha permesso loro di diventare i dominanti.

Cosa è possibile fare? Evitare tre trappole.

Apparentemente è difficile pensare di riuscire a fare qualcosa, in particolare la cosa più urgente: fare arrestare la guerra in Ucraina e iniziare i negoziati di risoluzione politica del conflitto. A questo si aggiunge oggi l’imperativo di fare smettere l’attaco degli Stati Uniti contro la Cina. Ciò è molto difficile perché la guerra è entrata anche nella testa della maggioranza dei cittadini di quasi tutti i paesi, persino nei paesi scandinavi tradizionalmente poco guerrafondai. Certo, il movimento pacifista esiste ed è molto attivo in tanti paesi del mondo ed ha anche ottenuto recentemente dei risultati molto importanti quali il trattato internazionale sull’interdizione delle armi nucleari, ratificato da più di 50 Stati, e quindi entrato in vigore nel diritto internazionale. Beninteso, nessuna potenza nucleare l’ha approvato e nemmeno l’Italia che costituzionalmente “ripudia la guerra”. Per quanto in queste settimane il movimento pacifista si faccia sentire in maniera sempre più diffusa e pressante, la sua influenza politica sull’opinione pubblica resta limitata. 

Il rifiuto di condannare apertamene e unicamente la Russia da parte di un numero importante di paesi dell’America latina , dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia, è certamente un fattore incoraggiante Ciò significa che molti Stati non occidentali non vogliono innocentare gli Stati Uniti e l’Occidente perché li considerano co-responsabili diretti della guerra in Ucraina. Ciò però non significa che la maggioranza della popolazione di detti Stati abbia mutato i sentimenti rispetto alla guerra tanto da indurli a mobilitarsi per l’arresto della guerra.

La cultura dell’inevitabilità della guerra resta ancora molto radicata nella testa dei cittadini. Ciò spiega il perché, finora, sono state rare le risoluzioni adottate da parte di parlamenti nazionali contro la guerra, tutte le guerre; deboli e poco influenti sono le dichiarazioni delle organizzazioni sindacali ancora una volta operanti in ordine sparso e poco coordinati a livello mondiale. A poco hanno valso le manifestazioni in favore della pace da parte di migliaia di associazioni e movimenti della società civile, le prese di posizione di centinaia di premi Nobel, gli appelli di personalità del mondo della musica e dell’arte, gli appelli continui e forti di Papa Francesco.

Ciò detto, la soluzione non sta nelle armi. tanto meno nel lasciare aperta la via alla sperimentazione di una “piccola” guerra nucleare tattica la cui fattibilità ed utilità sta entrando nella testa dei dominanti accompagnata da une certa rassegnazione da parte dei cittadini.

La situazione impone di intensificare dappertutto le manifestazioni di condanna e di ripudio della guerra al fine di far crescere sempre di più la coscienza che non si può vivere insieme con la sciabola in mano e la pistola alla cintola, per non parlare dei missili alla porta di casa. A tal fine occorre evitare tre trappole.

La prima trappola, già in atto, è accettare la logica secondo la quale c’ è una guerra dei buoni, che devono essere difesi, aiutati, armati, contro i cattivi. che devono essere puniti, sconfitti. Nessun negoziato di pace può fondarsi su dette basi. La proposta del cessate il fuoco deve contenere una formulazione accurata del risultato condivisibile che si vuole raggiungere. Una formulazione non per vincitori e vinti ma per costruire un’altra agenda politica nell’interesse di tutte le parti in causa “ e del mondo. A al fine dovrebbero far parte del gruppo di negoziatori due o più personalità di alto valore morale e professionale designate dal segretario generale dell’ONU. Il loro compito consisterebbe a suggerire, quando necessario e richiesto, contributi di soluzioni accettabili a tutti nell’interesse dell’umanità. 

La seconda trappola consiste nel limitare gli obiettivi dei negoziati per la pace alla ottimizzazione relativa degli interessi di ciascun belligerante (Ucraina, Russia, Stati Uniti, Nato, Unione europea). Essendo i paesi belligeranti all’origine di tante distruzioni e danni sul piano umano, sociale, ambientale ed economico, i negoziati devono anche servire ad obbligarli ad assumere impegni precisi non solo per la ricostruzione e la riparazione dei danni per i belligeranti stessi, ma soprattutto per la comunità di vita della Terra e l’umanità. I responsabili della guerra globale in Ucraina hanno distrutto le capacità degli abitanti della Terra di imparare a vivere insieme accumulate negli anni ’50-’90. Ci hanno fatto perdere circa 50 anni di storia che sarebbe potuta essere più giusta, più solidale, più pacifica, più felice. A tal fine, noi cittadini non dobbiamo restare prigionieri del loro gioco consisente a tentare di uscire dalla guerra avendo salvato il più possibile i loro interessi. Dobbiamo chiedere ai nostri rappresentanti eletti d’imporre che i negoziati fissino le basi (principi e regole) e mettano in piedi le istituzioni mondiali dell’umanità appropriate alla salvaguardia e difesa della sicurezza e del benessere di tutti gli abitanti della Terra. Se ciò non accadesse, i negoziati di pace si trasformerebbero in una nuova crudele farsa mondiale.

Tale esito è evitabile. Fra le opportunità che si offrono una mi semba di grande portata. Penso alla rivolta degli scienziati. Oggi, tutti lo riconosciamo, la nostra esistenza e la vita del Pianeta è sempre di più plasmata, vuoi “creata” dalle nostre conoscenze scientifiche e capacità tecnologiche, e dalle nostre modalità di governo e di uso di dette conoscenze. Se la guerra è possibile nelle forme oggi a noi note (carri armati, aerei da caccia e portaerei, sommergibili, missili, armi nucleari, droni, armi batteriologiche, laser, mezzi di comunicazione e d’informazione potentissimi, satelliti…) ciò è dovuto a milioni di scienziati, di tecnologhi e di managers di guerra. Per ragioni diverse gli scienziati sono stati intrappolati in situazioni e status che, nella loro stragrande maggioranza, li rende tuttavia soddisfatti e sereni (status sociale elevato , prestigio, reddito, sicurezza, importante influenza sui decisori, supposta o reale….). Questa è la terza trappola, da far saltare (e che non concerne solo la categoria degli scienziati). E’ stato finora raro che gli scienziati, come professione e soggetto collettivo, abbiano compiuto azioni di dissenso, di critica politica , di rivolta contro i “signori” della politica e dell’economia, eccezione fata per casi individuali o di piccoli gruippi. . Il caso più macroscopico di questa trappola è rappresentato dall’IPCC (The Intenational Panel on Climatic Change) , un organismo delle Nazioni Unite creato nel 1988 per fornire ai decisori politici valutazioni sui cambiamenti climatici e le loro conseguenze sulle condizioni di vita della Terra. Si tratta di un organismo fondato sulla cooperazione tra migliaia di scienziati, i cui lavori sono sovvenzionati dai governi Esso rappresenta una opportunità eccezionale per gli scienziati ed i centri di ricerca che vi partecipano in termini di prestigio, finanziamenti, onori, e lavoro di grande interesse e importanza. Devono, però, firmare una condizione da loro piuttosto ben accolta nel nome della cosiddetta neutralità scientifica: devono accettare di non fare alcuna valutazione delle politiche in atto né alcuna proposta di natura politica, di non proporre soluzioni o ricette politico-economiche, di non rilasciare alcuna dichiarazione pubblica individuale o di gruppo suscettibile di essere utilizzata per scopi politici di parte.

Alla luce di 35 anni di esperienza, ci si deve e può chiedere se siffatta formula sia nell’interesse della popolazione mondiale e della capacità effettiva della scienza di aiutare la società a trovare le soluzioni necessarie ai problemi messi in luce e analizzati in tutti i loro aspetti ?

A cosa serve produrre rapporti su rapporti, decine di migliaia di pagine, di dati, tabelle, grafici e costruire scenari alternativi se poi gli scienziati stessi accettano che i decisori non facciano nulla e loro stessi restino a guardare dalle finestre dei loro splendidi laboratori ed uffici senza intervenire? Di fronte alla drammaticità della situazione, non solo nelle dimensioni ambientali della vita, la (pretesa) neutralità scientifica non può più essere uno strumento di comodo sia per i politici che per gli scienziati. Peraltro, gli scienziati sono il solo gruppo sociale che può modificare e riorientale la ricerca scientifica e gli usi delle conoscenze prodotte.

Fortunatamente, alcune settimane fa un gruppo di scienziati ha deciso di agire, si è dato un nome eloquente, ‘Scientist Rebellion”, ed ha lanciato una lettera d’invito alla mobilitazione cittadina per mettere fine ai cambiamenti climatici. Ha anche occupato pacificamente alcuni locali dell’Università di Monaco di Baviera. Ha in programma un’azione più forte in occasione della COP27 in Egitto che avrà luogo dal 6 al 18 novembre.

Vedi https://scientistrebellion.com/

Ad oggi , più di 500 scienziati hanno firmato la lettera , fra cui alcuni, pochissimi, membri dell’IPCC. Personalmente aderirò a “Scientist Rebellion” e mi auguro che i suoi membri si moltiplicheranno rapidamente per migliaia.

Per il momento “Scientist Rebellion” è mobilitata unicamente per arrestare i disastri climatici. Spero che rapidamente la lotta sarà estesa alle azioni contro la guerra globale in Ucraina e contro le operazioni di guerra tecnologica ed economica degli USA contro la Cina, per le quali gli scienziati sono in prima linea. Sono sicuro che la rivolta degli scienziati, in aggiunta ed in sostegno delle rivolte dei cittadini già in corso, potrà avere un effetto importante e duraturo per la sconfitta della guerra e per la creazione di un’umanità responsabile.

Se gli scienziati trovano uno stimolo a rivoltarsi per “salvare la vita della Terra” dall’estinzione di massa nel corso dei prossimi 100 anni, perché non farlo anche per “salvare oggi l’umanità dalla guerra”?

Riccardo Petrella
Dottore in Scienze Politiche e Sociali, laureato honoris causa da otto università: in Svezia, Danimarca, Belgio (x2), Canada, Francia (x2), Argentina. Professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio); Presidente dell’Institut Europeen de Recherche sur la Politique de l’Eau (IERPE) a Bruxelles (www.ierpe.eu); Presidente della « Università del Bene Comune » (UBC), associazione senza scopi di lucro attiva ad Anversa (Belgio) e a Sezano (VR-Italia) Dal 1978 al 1994 ha diretto il dipartimento FAST, Forecasting and Assessment in Science and Technology alla Commissione delle Comunità europee a Bruxelles e nel 2005-2006 è stato presidente dell’Acquedotto Pugliese. È autore di numerosi libri sull’economia e i beni comuni.

Ufficio stampa

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